Zond-5

Questa navicella sia la prima circumnavigazione automatica della Luna che il successivo ritorno sulla Terra. Inoltre grazie alla telecamera di bordo furono riprese le prime immagini del nostro pianeta da circa 100mila km.

 

I CENTRI DI CONTROLLO E GESTIONE DELLE MISSIONI ZOND

 

Nel 1959 venne deciso di costituire due centri per le comunicazioni nello spazio profondo. Il primo (quello orientale) sarà il complesso OKIK-15 a Ussuriysk vicino al Pacifico;  mentre il secondo (quello occidentale) sarà l'OKIK-16 a Yevpatoriya in Crimea. Entrambi i centri per le comunicazioni nello spazio profondo iniziarono ad operare nel 1962. Il centro occidentale diventerà più importante di quello orientale perché a Yevpatoriya venne utilizzato un particolare sistema d'invio comandi denominato Pluton. Così dall'OKIK-16 si potevano trasmettere fino ad una distanza di 300 milioni di km. Dal Gennaio 1963 il "Centro di Coordinamento-Calcolo" sito a Kaliningrado fornì alle missioni spaziali un supporto ai calcoli balistici. Come ulteriore supporto "balistico" venne usata la stazione OKIK-14 di Schyolkovo (30,35 km d Mosca). Le missioni Zond (come le Luna, Mars, Venera) erano quasi sempre controllate e gestite da Yevpatoriya.

 

IL PROGRAMMA L1/ZOND

 

Nel 1966 il programma L1, per portare un sovietico intorno alla Luna, avrebbe assunto un'importanza primaria rispetto al programma L3 (un sovietico sulla Luna). Quest'ultimo ambizioso programma si doveva attuare per la fine del 1967, in concomitanza del 50° anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Il documento del 31.12.1965 intitolato “Dati iniziali sul carico utile L1 (Prodotto 11S824)” congelò il programma L3. I punti più importanti del documento descrivevano i cambiamenti necessari sia per la navicella che per il vettore di lancio in maniera da realizzare la missione circumlunare pilotata. Specificatamente per la navicella c'erano tre obiettivi:

1. creare una navicella 7K-OK Soyuz modificata — nome in codice ‘7K-L1′ — capace di un volo circumlunare con equipaggio;

2. creare sia un modello tecnologico 1M1 su una 7K-L1, che varianti automatiche per voli circumlunari su una 7K-L1;

3) preparare una navicella 7K-L1 per voli circumlunari pilotati.

L'ambizioso programma L1 dall'11 Gennaio 1966 divenne orfano di Sergey P. Korolev. L'uomo-guida dell'astronautica sovietica nel 1965 subì molte delusioni e lutti. Il programma automatico lunare E-6 a cui teneva molto dal Gennaio 1963 al Dicembre 1965 vide ben 11 fallimenti consecutivi [vedi scheda di Luna-9]! Nel Gennaio 1965 il collega dell'OKB-154, Semyon A. Kosberg, morì a 62 anni per le ferite riportate in un incidente stradale. Nello stesso mese scomparve il direttore dell'Istituto di Questioni Biomediche, Andrey V. Lebedinskiy. Inoltre uno dei nuovi ingegneri dell'OKB-1, Ivan V. Popkov, perì in un altro incidente stradale. Poi se ne andarono: Georgiy M. Shubnikov (il leggendario "costruttore" del cosmodromo di Baikonur) ed il capo progettista dell'OKB-1, Leonid A. Voskresenskiy. La salute di Korolev, già malmessa, cominciò a peggiorare ulteriormente da Agosto: soffriva di pressione bassa, mal di testa, calo dell'udito e problemi cardiaci. Negli esami fatto a Dicembre gli fu trovato un polipo nell'intestino retto. Secondo i medici l'operazione di asportazione sarebbe stata semplice. Il 4 Gennaio 1966 Korolev era nel suo ufficio come se niente fosse. Anzi non pensava di stare a lungo in ospedale: aveva già predisposto gli inviti per il suo 59° compleanno che cadeva il 12 dello stesso mese... L'intervento chirurgico era programmata per il 5, forse fu eseguito l'11;  comunque si presentarono dei problemi mai del tutto chiariti. Forse sopravvenne un'emorragia durante la rimozione di un vasto tumore addominale;  fatto sta che l'uomo non si risvegliò. Infine il 14 arrivò l'arresto cardiaco mentre versava in coma profondo. Sicuramente i sei anni di Gulag trascorsi dal 1938 al 1944 avevano minato il fisico di Korolev. Solo dopo il suo funerale, tenuto il 18 Gennaio, quando venne sepolto sotto le mura del Cremlino [foto], Korolev divenne finalmente noto in Occidente.

Al suo posto venne nominato Georgi A. Tyulin (1914-90), un ufficiale militare. Purtroppo non aveva né la personalità forte né l'amicizie politiche del suo predecessore. Inoltre Tyulin non era dotato della leggendaria abilità di Korolev, che riusciva a motivare ogni squadra di lavoro. Per di più, Tyulin non persuadeva gli altri uffici di progettazione nel vedere l'operato dell'OKB come prioritario. Intanto il Decreto 101 del 27.04.1966 della Commissione Militare-Industriale approvò la costruzione di quattordici navicelle 7K-L1: cinque nel 1966 e nove nel 1967. L'ingegnere Vasily P. Mishin (1917-2001) nella riunione del Consiglio dei capi-costruttori, tenuta il 9 Dicembre, presentò il nuovo piano per il programma L1. Nella prima fase ci sarebbero state quattro missioni (voli automatici di prova). Le prime due (2P e 3P) si sarebbero inserite in orbita terrestre per testare l'accensione del Blocco D, lo stadio di fuga del vettore. Le rimanenti due missioni (4L e 5L) avrebbero realizzato i voli circumlunari automatici nel Marzo-Maggio 1967. Dopo queste missioni, il primo equipaggio umano sarebbe volato intorno alla Luna su una navicella 6L il successivo 25 Giugno.

La commissione statale per il programma L1 si riunì per la prima volta il 24 Dicembre 1966. Mishin ed i colleghi Vladimir N. Chelomey (1914-84) e Vladimir P. Barmin (1909-93) presentarono relazioni sulla preparazione della navicella ed il vettore di lancio. In questa riunione vennero confermate le quattro missioni di preparazione (2P, 3P, 4L, 5L). Però il primo volo circumlunare pilotato con equipaggio fu posticipato al 26 Luglio 1967. Nella seconda riunione del 30 Dicembre 1966 Mishin, Chelomey, Barmin riferirono che tutto andava al meglio: il primo lancio era confermato per la fine del mese successivo. Un ordine del 21.12.1966 dispose che l'Aeronautica era responsabile di tutti i recuperi al suolo, mentre la Marina sarebbe si sarebbe occupata dei recuperi in mare. Inoltre le stazioni di "tracciamento" di Feodosiya e Ussuriysk furono modificare per farle comunicare con la navicella di ritorno dalla Luna.

Il punto finale della discussione alla riunione del 30.12.1966 fu la scelta degli equipaggi. Già in Settembre alcuni cosmonauti erano stati selezionati (non ufficialmente) per l'addestramento. Ad inizio Dicembre 1966 i responsabili del Centro di Addestramento Cosmonautico avevano stilato una lista di 40 nomi. Nikolai P. Kamanin (1909-82), guida dei corpi cosmonautici e Mishin decisero che l'addestramento dei cosmonauti per il programma L1 doveva essere indipendente da altri programmi spaziali. In seguito, i cosmonauti delle missioni Soyuz sarebbero stati aggiunti al programma circumlunare. Dal 01.01.1967 i cosmonauti affrontarono un addestramento di cinque mesi. Ciascun equipaggio venne affidato ad un comandante che aveva già esperienza con precedenti missioni spaziali.

 

- 1967 -

 

A Gennaio undici persone furono selezionate come addestratori del programma L1. Fra questi c'erano: Pavel R. Popovich (cosmonauta sul Vostok 4) e Aleksi A. Leonov (che il 18.05.1965 nella missione Voskhod 2 fece la prima "camminata" nello spazio). L'addestramento dei cosmonauti circumlunari fu ostacolato dalla mancanza di specifici simulatori di volo. Nonostante le molte discussioni, l'Istituto di Ricerche sul Volo non consegnò alcun simulatore. Così gli addestratori fecero di necessità virtù e addestrarono i cosmonauti sui simulatori del 7K-0K Soyuz corredati da nuovi strumenti di controllo.

La commissione statale per l'L1 decise che il primo volo di test di una navicella 7K-L1 sarebbe avvenuto fra fine Febbraio ed inizio Marzo. In particolare, il primo (dei due voli di prova) avrebbe permesso di testare lo stadio TL1 del Blocco D. Questo stadio doveva accendersi due volte: una per raggiungere l'orbita di parcheggio terrestre e l'altra per spingere il carico scientifico alla velocità di fuga. La commissione sperava di poter completare le quattro missioni automatiche e poi quella circumlunare pilotata (ancora prevista per il 26.07.1967).

 

LA TRAGEDIA DELL'APOLLO-1

 

La Nasa ad inizio 1967 stava preparando il primo volo del modulo di servizio e comando Apollo (la navicella che doveva portare astronauti sulla Luna). Apollo-1 avrebbe testato tutti i sistemi essenziali di bordo;  la missione da due settimane sarebbe partita il successivo 21 Febbraio. Dalle 13 locali del 27 Gennaio i tenenti colonnello Virgil I. Grissom (nato il 03.04.1926) e Edward H. White II (14.11.1930) ed il tenente comandante Roger B. Chaffee (15.02.1935) si trovavano nel simulatore in cima al razzo Saturn IB sulla rampa (pad) 34 del Kennedy Space Center. Durante la sessione d'addestramento si erano registrati strani problemi di comunicazioni;  inoltre Grissom riferì di aver sentito <<un odore aspro>> nel casco. Alle 18:20 il conto alla rovescia era a meno 10 minuti. Alle 18:31:05 Grissom urlò: «Fuoco!», alle 18:31:07 Chaffee disse serio: «Fuoco nella cabina». Secondo le procedure di emergenza Grissom comandò l'espulsione dell'atmosfera dall'astronave. Qualche secondo dopo Chaffee gridò: «Abbiamo preso fuoco! Tirateci fuori di qui!». Ci volevano almeno 90’’ per aprire dall'esterno i tre portelloni. Alle 18:31:21 la temperatura nell'abitacolo aveva superato i limiti di scala;  l'astronave si spaccò sulla linea di saldatura. Solo dopo 14’ il portellone superiore fu aperto: l'equipaggio era ormai morto per asfissia causata dall'esalazioni velenose del materiale bruciato. Praticamente una saldatura elettrica in un compartimento del modulo di comando si era incendiata e quindi l'atmosfera interna pura al 100% aveva arso tutto. La Nasa cancellò immediatamente tutte le ulteriori missioni del programma Apollo. Inoltre furono istituite diverse commissioni di inchiesta. Gli analisti stimarono che il programma avrebbe subìto un ritardo di almeno un anno, se non di più. L'incidente inavvertitamente poteva dare all'Unione Sovietica la possibilità di "riacciuffare" gli Stati Uniti. Forse la corsa alla Luna non aveva ancora un chiaro vincitore...

 

 Primo volo di una 7K-L1

 

Alle 11:31 del 10 Marzo, la prima navicella 7K-L1 (veicolo 2P) decollò sospinta da un Proton 8K82K. L'inserimento in un'orbita di parcheggio terrestre (177 x 296 km;  89,2’; 51,44° sull'Equatore) andò alla perfezione. Era il primo lancio in assoluto del nuovo vettore a quattro stadi Proton. Essendo un veicolo spaziale in orbita terrestre, i sovietici gli assegnarono il nome di copertura Cosmos 146. L'ultimo stadio, il Blocco D, che era alla sua prima missione, funzionò in maniera egregia. Infatti al carico scientifico da 5.017 kg fu impressa la velocità di fuga. Però il sistema di segnalazione radio RDM-3 non si spense al momento previsto a causa di un errore elettronico. Invece di funzionare 40’ rimase acceso 42 ore! Anche il sistema di termoregolazione lamentò un'anomalia: in una linea principale la pressione crollò. Cosmos 146 rimase in orbita per nove giorni, raggiunse l'apogeo a distanza lunare e poi rientrò nell'atmosfera terrestre.

 

 Secondo volo di una 7K-L1

      

Il secondo veicolo 7K-L1 (la navicella 3P) sarebbe stata pronto al lancio entro un mese. La sua missione era quasi la stessa, l'unica differenza era che il Blocco D doveva accendersi per la seconda volta un giorno dopo l'inserimento in orbita terrestre. Il 6 Aprile Mishin, Barmin, Chelomey, Valentin P. Glushko (1908-89) e altri capi progettisti arrivarono al cosmodromo Baikonur per assistere al lancio. Insieme a loro c'erano dieci cosmonauti che si addestravano per i voli circumlunari. Il gruppo degli istruttori tipo Popovich e Leonov studiò l'equipaggiamento della rampa di lancio e "familiarizzò" con tutte le procedure pre-lancio. Per la prima volta, quelle persone (capi progettisti, cosmonauti, addestratori) poterono vedere fisicamente il vettore di lancio Proton.

L'8 Aprile i progettisti e gli ospiti videro il lancio  a 1,5 km dalla rampa 92. Esattamente alle 09:00:32.7 il Proton 8K82K decollò. Tutti i quattro stadi funzionarono alla perfezione. Così il vettore s'inserì in un'orbita di parcheggio terrestre (183 x 223 km;  88,5’; 51,3°). La Tass annunciò sia l'avvenuto decollo che il nome di copertura Cosmos 154. Per tutto il giorno i controllori a terra seguirono il Blocco D unito alla navicella 7K-L. Era la prima volta, nella storia dell'astronautica sovietica, che un ultimo stadio sarebbe stato riacceso nel vuoto e in assenza di peso dopo un'attesa di 32 ore.


Il 9 Aprile la telemetria ricevuta fu lapidaria: il Blocco D non si era riacceso. Dopo l'analisi dei dati ricevuti gli ingegneri missilistici scoprirono che un interruttore strumentale era stato lasciato nella posizione sbagliata! Conseguentemente il Blocco D non aveva potuto usare i propellenti, diventando così inutile. La responsabilità di questo madornale errore ricadde sulle spalle di Mishin. Il presidente della commissione statale, Tyulin gli fece una bella lavata di capo. In seguito Tyulin descrisse così Mishin: <<È cinque volte più arrogante di Korolev e dieci volte meno competente>>. Intanto Cosmos 154 rimase nella sua bassa (ed inutile) orbita terrestre per un giorno;  poi rientrò in maniera naturale. Questo fallimento indubbiamente rallentò il procedere del programma circumlunare. La prospettiva di realizzare la prima missione pilotata in Giugno o Luglio era quanto mai incerta. Per di più il programma orbitale terrestre Soyuz richiedeva un concomitante intenso lavoro. Anzi non c'erano molte speranze nemmeno per il Novembre 1967. Ma il colpo che stroncò questa flebile speranza fu la disgrazia che accadde appena due settimane dopo. Quello che successe fu uno dei più devastanti incidenti nella storia del programma spaziale pilotato sovietico. In pratica, dopo questo avvenimento, la corsa verso la Luna da parte dell'Unione Sovietica fu azzoppata, se non compromessa.

 

 La tragedia del Soyuz 1

 

(1)

 

Alle 00:35 del 23 Aprile 1967 la navicella Soyuz 1 con a bordo il colonnello ingegnere Vladimir M. Komarov (nato il 16.03.1927) decollò dal cosmodromo Baikonur. Komarov era il primo cosmonauta che andava nello spazio per la seconda volta. Il "battesimo" era stato a bordo del Voskhod 1 il 12-13 Ottobre 1964. Il programma Soyuz (<<unione>> in russo) prevedeva il volo umano nello spazio e specificatamente verso la Luna. Comunque la missione di Soyuz 1, oltre a testare la navigazione nello spazio, era un po' particolare. Infatti Komarov doveva trasferirsi in orbita a bordo del Soyuz 2 che sarebbe decollato alle 00:10 del 24. Poi le due navicelle sarebbero atterrate con gli equipaggi invertiti in luoghi diversi. Il lancio e l'inserimento in orbita del Soyuz 1 andarono come previsto. Alle 02:00 il veicolo spaziale compì la prima orbita intorno alla Terra e solo allora l'autorità sovietiche annunciarono l'avvenuto decollo.

 

(2)

 

 

Probabilmente nella seconda orbita (03:37-05:07) il centro di controllo della missione a Yevpatoriya e Mosca rilevarono che il pannello solare sinistro non si era aperto dopo l'inserimento orbitale. I dati ricevuti furono analizzati e saltarono fuori altre anomalie: un'antenna di riserva nel sistema telemetrico non era operativa ed un residuo di combustione del razzo aveva probabilmente contaminato la superficie ottica del sensore solare-stellare 45K. Mentre l'antenna era un fastidio da poco, il malfunzionamento al sensore era un problema serio perché senza questo la navicella non poteva né orientare il suo assetto e né cambiare i parametri orbitali. La telemetria indicava che l'orbita del Soyuz 1 aveva queste caratteristiche: 196,2 x 225 km;  88,6 minuti di periodo;  51° e 43’ d'inclinazione rispetto all'equatore.

Solo alla seconda orbita i controllori di volo erano riusciti a stabilire un collegamento. Per ragioni sconosciute, il sistema radio ad onde corte (15,008;  18,035;  20,008 [MHz]) non funzionava. A Yevpatoriya gli esperti di consumo elettrico fecero dei calcoli precisi. Le batterie-tampone potevano con quei livelli di corrente durare fino alla 17ª orbita. Dopo l'esaurimento di queste, Komarov poteva utilizzare le batterie di riserva ma per altre due sole orbite... Questo significava che Soyuz 1 poteva funzionare sicuramente per circa un giorno, molto meno dei tre previsti dalla missione originale. Nel frattempo, il capo del gruppo di controllo a Yevpatoriya colonnello Pavel A. Agadzhanov disse a Komarov di spegnere tutti i sistemi non essenziali e di provare ad orientare a tutti costi il pannello solare destro verso il Sole.

Alla terza orbita, Komarov disse al centro di controllo che: 1. il pannello sinistro era sempre nella sua inutile posizione iniziale;  2. la navicella non si era orientata verso il Sole. Il livello della corrente elettrica si era stabilizzato a 14 A, parecchio sotto i valori richiesti per un volo "nominale". Il sensore 45K era ancora non operativo. Nonostante i guai, la commissione statale L1 credeva che il problema nell'orientamento potesse essere risolto. Anzi raccomandò che i preparativi per il lancio di Soyuz 2 andassero avanti! Kamanin nel frattempo spedì Yuriy Gagarin, primo uomo a volare nello spazio con Vostok-1, a Yevpatoriya per dare il proprio aiuto. Dopotutto Gagarin era la riserva di Kamanin per il programma Soyuz.

Alla quinta orbita, Komarov provò ad orientare manualmente la navicella usando l'orizzonte terrestre come riferimento. Ma non fu facile perché era arduo tenere un obiettivo fisso sulla Terra in movimento. Anzi questo tentativo bloccò pure il sistema di controllo di bordo. Comunque c'erano anche dei sensori ionici. L'uso di questi riuscì ad ottenere un parziale successo alla quinta orbita.

Komarov quando passava sopra l'Atlantico e l'America era fuori dalla "visibilità radio". Al povero cosmonauta in questi periodi "bui" fu ordinato di dormire;  nel frattempo Yevpatoriya, Mosca, Baikonur si consultavano in maniera febbrile. La maggior parte dei membri anziani della Commissione di Stato, vedi il presidente Kerim A. Kerimov (1917-2003), Mstislav V. Keldysh (1911-78) e Kamanin raccomandarono di rinviare del lancio di Soyuz 2 che il  portare a terra Koromov al più presto possibile (leggi non prima della 17ª orbita). Incredibilmente Mishin sperava che una decisione fosse presa solo alla 13ª orbita! Secondo lui Yevpatoriya avrebbe ristabilito il collegamento e poi c'era perfino un piano d'emergenza: lanciare Soyuz 2, accostarsi alla navicella in avaria, mandare fuori nello spazio due cosmonauti che rimettessero a posto il pannello solare della Soyuz 1!

Alla 13ª orbita Komarov comunicò che il suo secondo tentativo di usare il sistema d'orientamento ionico era fallito. Inoltre la corrente ammontava a 12-13 A. All'unanimità la Commissione di Stato decise di non lanciare la Soyuz 2. I cosmonauti a terra erano amaramente delusi ed accusarono la commissione statale di "eccessiva prudenza e indecisione". La 17ª orbita era quella prevista per il rientro, comunque rimanevano anche l'orbite 18 e 19 come riserva. La squadra di Agadzhanov a Yevpatoriya valutò con calma la situazione. A bordo del Soyuz 1 c'erano tre guasti di rilievo: il pannello solare sinistro non aperto, il sistema d'orientamento ionico non funzionante, il sensore stellare-solare 45K mal funzionante. L'ostinato pannello sinistro non solo privava la navicella dell'energia necessaria, ma causava anche un'asimmetria nella stabilità. Conseguentemente l'altro pannello solare era ostacolato nel suo "rivolgersi" al Sole. Gli ingegneri a terra erano sicuri che tutti gli sforzi di Komarov nel ruotare la navicella vfossero vani. Tentando la rotazione si sarebbe sprecato prezioso propellente per il sistema propulsivo dell'orientamento. Inoltre con poco propellente, durante la retro-manovra, Komarov non avrebbe potuto compensare lo squilibrio di massa dovuto ad un singolo pannello solare aperto.

 

(3)

 

 

Una navicella Soyuz aveva tre sistemi di orientamento;  se erano tutti guasti allora il ritorno a terra sarebbe stato praticamente impossibile. Infatti con un assetto non corretto, Soyuz 1 poteva bruciare nell'atmosfera oppure inserirsi in un'orbita più elevata. Il sistema di orientamento ionico per due volte aveva malfunzionato. I controllori a terra erano altresì convinti che poteva essere inaffidabile anche nel rientro. Per Komarov restava poco tempo ed era necessario attuare il rientro alla 17ª orbita. La squadra di Agadzhanov doveva trasmettere un preciso insieme di istruzioni alla 16ª orbita. Prima però era tassativo orientare la navicella, che intanto percorreva la sua 15ª orbita.

Gli ingegneri e i tecnici di Yevpatoriya e Baikonur si stavano scervellando sul modo migliore per orientarla. A quasi 30 ore dal lancio nessuno nei centri di controllo era andato a dormire. Anzi il personale violava continuamente le regole di segretezza comunicando senza passare dai canali riservati. Alla 15ª orbita, Komarov riferì che secondo lui il sensore d'orientamento ionico e gli ugelli per il controllo dell'asseto funzionavano. Valutando i dati dei centri di controllo, la commissione statale raccomandò che l'astronave atterrasse alla 17ª orbita usando il sistema d'orientamento ionico ed gli ugelli. Agadzhanov e gli ingegneri Boris V. Raushenbach (1915-2001), Boris E. Chertok controllarono attentamente tutte le istruzioni che Gagarin trasmetteva personalmente a Komarov. Nei secondi prima della perdita del contatto, Mishin e Kamanin augurarono buona fortuna al cosmonauta. Al tempo fissato Soyuz 1 iniziò la sequenza di rientro. Il propulsore principale doveva accendersi per deorbitare la navicella alle 23:56:12, ma ciò non accadde!

 

(4)

 

 

I resoconti balistici che fluivano copiosi su Yevpatoriya indicavano che i parametri orbitali dell'astronave erano rimasti gli stessi. Appena possibile Komarov riferì che il sistema ionica sembrava aver funzionato. Purtroppo la navicella superando l'equatore aveva attraversato un "vuoto ionico" dovuta all'ombra terrestre. In queste zone la concentrazione di ioni è bassa e così il sensore ionico non aveva rilevato alcunché. Conseguentemente il sistema di controllo della navicella aveva impedito l'accensione del retrorazzo. I membri della Commissione di Stato decisero per un atro tentativo di atterraggio alla 18ª orbita. Ma la 17ª orbita stava terminando e la squadra di controllori di volo non aveva le nuove istruzioni da inviare a Komarov. Alla fine fu deciso di far atterrare il povero cosmonauta alla 19ª orbita.

Non potendo usare i sistemi di orientamento solare-stellare e ionico, l'unica possibilità a disposizione era che Komarov orientasse manualmente la navicella prima della retro-accensione. Per fare questo, il cosmonauta doveva attuare una serie di operazioni molto complesse: 1. orientare manualmente l'astronave sull'orizzonte terrestre, nella parte illuminata dell'orbita;  2. appena dopo l'entrata nell'ombra terrestre trasferire il controllo dell'assetto al sistema giroscopico K1-38;  3. all'uscita dall'ombra terrestre controllare se Soyuz 1 era ancora orientata per la retro-accensione. Se qualcosa andava storto, per lo meno il cosmonauta doveva riprendere il controllo manuale e rimettere tutti i comandi per completare la sequenza di accensione.

 

(5)

 

 

Nessuno cosmonauta era stato addestrato per compiere la sequenza richiesta a Komarov. Intanto uno degli specialisti di consumo elettrico avvertì che il tempo rimanente era di una, due orbite al massimo. Gagarin ancora una volta comunicò l'insieme di istruzioni al pilota della Soyuz 1. Komarov sembrava calmo e ben conscio che non si poteva sforare sul termine previsto (le 02:57). Il cosmonauta eseguì abilmente il difficile compito che valeva della sua vita. In una statica sempre maggiore, Komarov comunicò: «Il motore si accenderà per 146’’, lo spegnimento avverrà alle 02:59:38.5». Il controllori di volo quando, alle 03:14:09, ricevettero il segnale di una ‘Avaria-2′ ebbero un colpo al cuore. Meno male che Raushenbach sapeva cosa fare e disse a tutti di non preoccuparsi. In pratica il sistema di controllo dell'assetto non era stato in grado di "trattare" i forti momenti di moto causati dall'asimmetria del veicolo. Il giroscopio aveva deviato la navicella di 8° sull'angolo previsto. Questo significava solamente che Komarov, piuttosto che un rientro guidato, ne avrebbe eseguito uno diretto e balistico. Tutti gli altri parametri, come la durata dell'accensione, erano ben entro i limiti di un rientro con successo.

Dodici minuti e tre secondi dopo la retro-accensione (03:09:20) il modulo di discesa si separò dal resto della capsula. Al cosmodromo Baikonur i membri della commissione statale erano riuniti al secondo piano di un edificio vicino alla rampa 2. I giornalisti naturalmente furono esclusi dalla riunione, ma poterono raccogliere voci di nascosto e quindi ufficiose. Leonov con stringati comunicati stampa li informò sugli sviluppi della situazione. Quindici minuti dopo la retro-accensione c'era da aspettarsi una breve interruzione nelle comunicazioni poiché la capsula sarebbe entrata nello strato di ionizzazione. Alle 03:18-03:20 l'ultime parole del cosmonauta "suonavano" calme, tranquille, senza nervosismo. Alle 03:23 ai 7 km di quota si sarebbe dispiegato il paracadute. Kamanin e il gruppo di ufficiali aveva già lasciato Baikonur. Con un aereo II-18 si erano messi alla guida della squadra di recupero. La capsula secondo i calcoli balistici sarebbe atterrata alle 03:24 a 65 km ad est di Orsk. La mattina del 24 Aprile nei cieli di Orsk era luminosa e con un'ottima visibilità. Alle 03:22:52 Soyuz 1 toccò terra ai 51,13° nord e 57,24° est.

 

(6)

 

 

L'equipaggio di un elicottero vide per un attimo il rientro della capsula. L'elicottero iniziò la discesa e Soyuz 1 risaltò perché era nel mezzo di un prato verde. Stava adagiata su un lato e si poteva vedere il paracadute sulla destra. Ma i motori dell'atterraggio morbido erano accesi... non andava affatto bene: dovevano accendersi appena prima dell'atterraggio. Il primo elicottero si posò fra 70 e 100 metri dalla capsula, circondata da fumo bianco. Il calore dentro il veicolo di discesa era intenso e la sua parte inferiore sembrava bruciata. I testimoni sul posto dichiararono che scie di metallo fuso erano sparse al suolo. Quando gli estintori spensero le fiamme si poté vedere che la capsula era completamente distrutta. La squadra di recupero comunicò su un canale aperto con i controllori di Mosca, Baikonur e Yevpatoriya. I soccorritori parlarono in codice e dissero solo che <<il cosmonauta necessita di urgenti cure mediche sul posto>>. A quel punto la squadra di ricerca interruppe i collegamenti con i centri di controllo.

Kamanin atterrò all'aeroporto di Orsk due ore dopo;  il generale dell'Aeronautica si aspettava di trovarci Komarov. Una volta sceso dall'aereo, gli fu detto che: l'astronave era atterrata 65 km lontano, stava bruciando e il cosmonauta non era stato trovavo. Però una fonte (non confermata) asseriva che Komarov era ferito, ma vivo, all'ospedale di una città a 30 km dal luogo dell'impatto. Kamanin decise di andare direttamente sul luogo del disastro. Infatti doveva aspettare un ordine da Mosca per poter riferire sullo stato di salute del cosmonauta disperso. Intanto nei tre centri di controllo regnava una gran confusione. Dimitri F. Ustinov (1908-84), primo amministratore dei programmi spaziali e missilistici, da Mosca stava cercando affannosamente di avere qualche informazione. Nonostante che il veicolo fosse atterrato alle 06:24 ora di Mosca, Ustinov non ricevette alcuna informazione sullo stato del pilota per le successive tre ore e mezzo.

 

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Quando Kamanin arrivò sul luogo dell'impatto, le 08:30 locali, il modulo di discesa stava ancora bruciando. Georgiy I. Petrov (1912-1987), direttore dell'Istituto di Ricerca Spaziale, era arrivato per primo e riferì a Kamanin sulla situazione. Non c'erano ancora tracce del cosmonauta, inoltre gli abitanti del luogo avevano riferito che la navicella era precipitata a grande velocità;  il paracadute si era avvolto.

Alle 09:30 locali il cadavere di Komarov fu trovato fra i rottami ancora fumanti. Nel frattempo Kamanin tornò a Orsk e telefonicamente riferì a Ustinov: «Ero sul posto, il cosmonauta Komarov è morto, l'astronave bruciata. Il paracadute primario non si è aperto e nemmeno quello di riserva. L'astronave ha colpito la superficie a 35-40 m/s, dopo l'impatto i motori di frenaggio sono esplosi. Non ho potuto stabilire la sorte del cosmonauta non prima che si potesse vedere qualcosa […] ». Alle 12, ora di Mosca, Ustinov informò il Segretario generale del PCUS, Leonid I. Brezhnev (1906-82), che si trovava in una conferenza internazionale dei partiti comunisti in Cecoslovacchia. Inoltre Ustinov compilò una nota per la TASS;  alle 17:27 di Mosca l'agenzia di stampa sovietica riferì che il volo era stato tranquillo fino al rientro. Ai 7 km di quota il paracadute principale si era aperto(!), ma per le funi intrecciate l'astronave si schiantava ad alta. Naturalmente questo incidente aveva ucciso Komarov. Nel primo pomeriggio, Kerimov, Keldysh, Mishin arrivarono sul luogo scortati dagli agenti del KGB. I resti del povero cosmonauta furono messi in una bara che arrivò a Mosca alle 1 locali del 25. A bordo di quell'aereo c'erano Keldysh, Kamanin e gli altri cosmonauti del programma: Gagarin, Nikolayev, Yeliseyev ecc. All'aeroporto di Mosca era in attesa la vedova di Komarov, Valentina Y. Komarova. I resti del cosmonauta furono cremati e l'urna posta con tutti gli onori nel viale del Cremlino.

La morte di Komarov fu una botta catastrofica per il programma spaziale sovietico. A parte il prezzo puramente psicologico di perdere un cosmonauta in missione, il disastro fermò immediatamente tutti i maggiori programmi spaziali pilotati (Soyuz, L1, L3). Le speranze di compiere il volo circumlunare per la fine del 1967 erano in forte dubbio. Far allunare un sovietico per la fine del 1968 ormai era pura fantasia. Il 27 Aprile Ustinov istituì e presiedette una speciale commissione governativa per determinare le cause dell'incidente. Anche gli ex cosmonauti Gagarin e Bykovskiy ne fecero parte. Il lavoro di una sottocommissione terminò il 20 Giugno. La causa principale venne individuata nel mancato rilascio del contenitore dove erano compressi i paracaduti. Da un portello veniva rilasciato quello di frenaggio che rallentava la discesa fino a 40 m/s così da non lacerare quello principale. Il paracadute di frenaggio non spinse il principale perché questi si era impigliato al contenitore. Praticamente la bassa pressione esterna lo aveva bloccato sulle pareti. Con il solo paracadute di riserva, fatalmente attaccato a quello principale, l'astronave si schiantò al suolo ad una velocità di circa 144 km/h. Ancora oggi non è sicuro che quella fatidica retro-manovra, programmata poco prima del rientro, sia effettivamente avvenuta. 

 

Primo volo di una navicella automatica circUMlunare 7K-L1

 

Appena sei giorni dopo la morte di Komarov, Mishin preparò un nuovo piano. Venne deciso che fra Giugno e Agosto, quattro 7K-L1 automatiche (quindi senza equipaggio) avrebbero eseguito un volo circumlunare. Poi entro Novembre, tre navicelle pilotate (8L, 9L, 10L) avrebbero fatto lo stesso. Il 7 Settembre la commissione statale del programma L1 fissò la data per lanciare la prima navicella 7K-L1. Diversi capi progettisti, fra cui Mikhail S. Ryazanskiy (1909-87) e Barmin, che si occupavano rispettivamente dei sistemi di controllo radio e dei complessi di lancio, assicurarono che il vettore e la navicella erano pronti. Comunque Mishin riteneva che il vettore di lancio fosse sicuro al 60%. Infatti, a suo dire, l'equipaggiamento del razzo lasciava a desiderare. Secondo il piano, dopo il volo intorno alla Luna ed il ritorno verso la Terra, la navicella avrebbe avuto due differenti profili di rientro: uno diretto e balistico in un'area di 100 x 2000 km nell'Oceano Indiano oppure un più preferibile rientro guidato in Kazakhstan.

Alle 22:11:54 del 27 Settembre decollò una 7K-L1 sospinta da un razzo Proton K/D. Purtroppo uno dei sei motori del primo stadio non si accese. Il razzo riuscì a tenere l'ascesa regolare per 61’’. Poi alle 22:13:01 [T+67’’] il vettore deviò dal cammino previsto. A quel punto il sistema di recupero d'emergenza entrò in azione. Così alle 22:13:31 [T+97’’] il vettore esplose. Il modulo di discesa 7K-L1 si separò dal razzo e ricadde non lontano dai suoi resti. Quando la squadra di recupero arrivò sul luogo, a 65 km da Baikonur, si trovò davanti una strana scena: da un orizzonte all'altro della steppa c'erano nubi di tetrossido d'azoto e idrazina;  il modulo di discesa poggiava su una collina fra i vapori tossici. Questo oggetto lanciato dai sovietici venne catalogato dall'autorità militari americane come Zond-1967A. La commissione statale nella riunione del 7 Ottobre chiarì i motivi del fallimento. Uno di quei motori del primo stadio non si era acceso per un malfunzionamento alla linea del propellente. Ma la causa di era davvero incredibile: i tecnici di Perm, dove si assemblavano i Proton "K-D", avevano dimenticato un tappo nelle tubature! Ustinov fu durissimo con il Ministro delle Industrie Aeronautiche: il fallito lancio del 28 Settembre era costato al governo sovietico ben 100 milioni di euro ed un ritardo di 2-3 mesi sul programma circumlunare.

 

Secondo volo di una navicella 7K-L1

 

Per il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre (prima settimana di Novembre) ci furono grandi manifestazioni e fanfare, ma niente voli circumlunari... Tyulin arrivò al cosmodromo a metà Novembre, il lancio era previsto per la settimana successiva. Quella notte era gelida, ma un meravigliosa Luna stava sospesa sopra la rampa di lancio.

Alle 19:07:59 GMT del 22 Novembre, le 00:08:59 locali del 23 Novembre, un Proton K/D decollò con una navicella 7K-L1 alla sua sommità. Tutto sembrò procedere bene, ma alle 19:10:04 [T+125,5’’] quando si attivò il secondo stadio, uno dei quattro motori non si accese. I rimanenti tre motori continuarono a funzionare per altri 4’’. Poi furono automaticamente spenti da terra quando si rilevò l'inevitabile deviazione di traiettoria. Ancora una volta, il sistema di recupero d'emergenza sparò il modulo di discesa lontano dal razzo in avaria. L'apparato di discesa si schiantò a 300 km da Baikonur, mentre il modulo per l'equipaggio cadde a 80 km dalla città di Dzhezkazgan. La causa di questo ennesimo fallimento fu individuata nella rottura di un ugello. La seconda navicella 7K-L1 lanciato dai sovietici venne denominata in Occidente come Zond-1967B.

 

Terzo volo di una navicella 7K-L1

 

Verso la fine dell'anno, la pressione sul povero Mishin era calata un poco. In ogni caso, l'obiettivo più immediato — che avrebbe "sconfitto" gli americani — doveva essere il volo circumlunare. Per giunta l'attività del programma Apollo non sarebbe ripartita prima del tardo 1968. I sovietici si "condonarono" gli insuccessi precedenti, dedicandosi al raggiungimento dell'obiettivo. Il ritardi accumulati nel programma permisero agli ingegneri di regolare al meglio il progetto della navicella 7K-L1. Inoltre gli ingegneri continuarono a ridurre il peso nel veicolo per renderlo più stabile ed efficiente. Il sistema dei paracaduti della Soyuz fu utilizzato anche per una navicella 7K-L1.

 

- 1968 -

 

Però il 26 Gennaio, durante una prova a Vladimirovka, il paracadute crollò su se stesso;  la capsula si schiantò a terra ed esplose. Intanto i cosmonauti per il programma L1 finalmente poterono addestrarsi in uno speciale simulatore. Questa struttura, conosciuta come Volchok, permetteva di simulare il rientro a Terra a velocità lunari. L'equipaggio di cosmonauti condusse almeno 70 corse nel simulatore seguendo precise metodologie. Infatti erano previsti due differenti profili di rientro: uno balistico e altro guidato. L'addestramento per il programma circumlunare consisteva nello studiare: i sistemi di bordo della navicella 7K-L1, il suo movimento e le sue dinamiche, supporti matematici, programmazione, navigazione balistica e astrale. Inoltre i cosmonauti in estate sarebbero andati per dieci giorni in Somalia per familiarizzare con le costellazioni australi. Infatti i veicoli 7K-L1 sarebbero rientrati passando sopra l'Antartide, l'Africa e poi in territorio sovietico. Nei nuovi piani, la navicella avrebbe usato il suo tracciatore stellare e il sestante per la navigazione autonoma. Però i cosmonauti doveva sostituirsi a questi dispositivi nel caso di malfunzionamento ai sensori. All'inizio di Febbraio, Mishin e Kamanin selezionarono quattro piloti per le prime due missioni. Il successivo lancio per una navicella 7K-L1 fu fissato per il 1-2 Marzo. Anche se non c'era una "finestra" verso la Luna, Mishin e Chelomey decisero di lanciare la navicella nello spazio profondo a 330.000 km dalla Terra (quasi una distanza lunare); poi avrebbero riportato il veicolo a casa. Non dovendo spedire l'oggetto verso la Luna, i controllori per il lancio poterono usufruire del lusso di una finestra molto più ampia dei soliti pochi secondi. Comunque il successivo lancio di una 7K-L1, rimandato al 23 Aprile, avrebbe volato verso la Luna.

Alle 18:29:23 del 2 Marzo un Proton K/D decollò con la terza astronave 7K-L1. Il lancio andò alla perfezione e il razzo s'inserì in un'orbita di parcheggio terrestre ad una quota di 200 km. Alle 19:41:17 l'ultimo stadio si accese per 459’’ [7’ e 39’’] e inserì la navicella in un'orbita molto ellittica avente un apogeo di 354.000 km. La TASS comunicò solamente che l'astronave era stata battezzata Zond-4. In effetti, la parola <<зонд>> (Zond) in russo significa proprio "sonda". Questa denominazione era già stata usata per le tre precedenti sonde (lanciate rispettivamente verso Marte, Luna e Venere). Il 3 Marzo un gruppo di cosmonauti guidati da Gagarin volò al centro di controllo a Yevpatoriya. La prima anomalia comparve alle 04:53 del 4 Marzo, quando i controllori di volo provarono a eseguire la prima manovra di correzione della traiettoria. Ma questo non fu possibile per un guasto al sistema di controllo dell'assetto. Nello specifico, il sensore stellare 100K seguiva il Sole.. ma non trovava la stella Sirio! Comunque la prima manovra per la correzione della traiettoria non era necessaria per il successo della missione. Finché i sistemi di bordo funzionavano non c'era nulla da temere... però l'antenna principale non si era correttamente dispiegata.

Il giorno 5 anche un secondo tentativo di usare il sistema di orientamento stellare fallì: il sensore "tracciava" Sirio ma solo per pochi secondi e poi lo perdeva. Finalmente il 6 i controllori di volo riuscirono a regolare il sensore che trovò e fissò Sirio. Così il veicolo spaziale poté orientarsi in maniera corretta e l'accensione del propulsore aggiustò la traiettoria. I calcoli balistici mostrarono che la traiettoria era perfetta: non ci sarebbe stato bisogno di altre manovre di correzione. L'11 Marzo vari ufficiali dell'Aeronautica erano al "Centro di Coordinamento-Calcolo"; sugli schermi giganti si presentò la prevista traiettoria di rientro... ma questa era molto diversa da quella reale!

Era successo che dopo la separazione dei due moduli, l'apparato di discesa si trovava in un assetto sbagliato a causa di un'anomalia del sistema d'orientamento. Perciò la navicella sarebbe sì entrata nell'atmosfera nel corretto "corridoio", ma non l'avrebbe più lasciato! Così l'astronave percorse un'incontrollabile traiettoria balistica, passò senza danni attraverso l'atmosfera e dispiegò i paracaduti. Ad un'altitudine di 10-15 km sul golfo della Guinea, il sistema di autodistruzione d'emergenza fu attivato e distrusse la capsula. Infatti il direttore della missione aveva preferito inviare il comando di autodistruzione piuttosto che vedere l'astronave atterrare in una zona secondaria, magari in <<mano nemica>> (leggi americana). Naturalmente la stampa sovietica glissò sull'accaduto: anni dopo le noti ufficiali dicevano che Zond-4 era in orbita eliocentrica! Il direttore della missione fu solo l'esecutore dell'ordine, che fu fortemente voluto da Tyulin e Mishin. Però la decisione partì dal segretario della commissione statale Ustinov ed il presidente della commissione militare-industriale Leonard V. Smirnov.

 

Quarto volo di una navicella 7K-L1

 

Un eventuale equipaggio nella capsula forse sarebbe sopravvissuto sia ai 30 g del rientro che allo schianto al suolo. Il problema principale di Zond-4 fu identificato nel sensore stellare 100K, la cui superficie risultò essere stata contaminata. Gli ingeneri introdussero una speciale copertura che doveva essere tolta prima dell'uso. La commissione statale nella sua riunione del 26 Marzo discusse dello stato del programma L1. Il vice capo progettista Chertok ricapitolò tutti i guasti del sensore 100K così come le conclusioni del piano di Mishin. Comunque la successiva navicella 7K-L1 ed il suo vettore Proton erano già pronti per il lancio.

Alle 20:01:07 GMT del 22 Aprile, le 01:01:07 locali del 23 Aprile, un vettore Proton K/D decollò con alla sommità una navicella 7K-L1. Circa 4’ dopo il lancio, 20:05:27 [T+260’’], i motori del secondo stadio si spensero all'improvviso. Subito si attivò il sistema di recupero d'emergenza. Quattro ore dopo il lancio i controllori di volo ricevettero un rapporto dove si diceva che la capsula era atterrata a 520 km di distanza da Baikonur.

Un rapida inchiesta dell'incidente indicò che l'anomalia fatale non dipendeva da un problema al vettore. Era successo che un sensore della navicella aveva erroneamente rilevato un guasto. Così i motori del secondo stadio erano stati spenti e si era attivato il sistema di recupero d'emergenza. Probabilmente il guasto si annidava nel sistema energetico della navicella. Ormai il primo volo circumlunare con equipaggio non si sarebbe compiuto prima della fine dell'anno. Il 20 Maggio Mishin decise che la successiva opportunità per lanciare un volo circumlunare automatico sarebbe stata il 17 Luglio. La commissione statale nella riunione del 26 Giugno poté finalmente conoscere le circostanze del lancio fallito il 22 Aprile. Il cortocircuito era in realtà avvenuto nel sistema di guida automatico della navicella: un dipartimento di costruzione aveva montato male la piattaforma di stabilizzazione triassiale! Mishin e Tyulin decisero di posticipare il lancio al 19 Luglio.

Quattro giorni prima il vettore Proton e la navicella si trovavano sulla rampa per alcuni controlli. All'improvviso, il serbatoio dell'ossidante nello stadio di fuga esplose. Un militare rimase ucciso ed un altro gravemente ferito;  il Blocco D si disintegrò e la navicella rimase danneggiata. Questa volta la causa dell'espulsione non era di natura umana: un comando elettrico, causato da un malfunzionamento alla rete di cavi, aveva fatto salire la pressione nel serbatoio dell'ossidante che era così esploso. Era stato davvero un miracolo che non fosse schiantato tutto: in quel momento c'erano 150 tecnici intorno. Comunque il  serbatoio squarciato premeva ancora contro il terzo stadio del razzo. Per salvare la navicella ed evitare che esplodesse la rampa di lancio ci volle un'impresa. Ogni componente potenzialmente esplosivo (razzo, stadio, navicella) fu separato con cautela in un clima esterno rovente quale può essere l'estate nella steppa kazaka. Dopo due settimane di lavoro certosino la rampa venne smantellata. Così tutte le finestre di lancio di Agosto e Settembre sfumarono e per di più quella navicella non poté più essere utilizzata per alcun lancio futuro.

 

DESCRIZIONE DELLA SONDA

 

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Questa navicella modello Soyuz 7K-L1 si componeva di due moduli:

1. strumentale unito a quello di servizio;

2. di rientro, denominato come al solito SA (Spuskaemyjj Apparat, ‘‘veicolo di discesa’’’).

Il modulo strumentale era a suo volta diviso in tre sezioni:

1. compartimento di trasferimento;

2. compartimento  strumentale;

3. comportamento aggregato.

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1. antenna ad alto guadagno

 

2. modulo di rientro

 

3. modulo aggregato

 

4. pannello solare

 

5. modulo strumentale

 

Il compartimento strumentale era pressurizzato e conteneva la batteria elettrica primaria e quella di riserva. Inoltre in questo compartimento c'era la strumentazione per i sistemi di bordo. Il compartimento "aggregato" era non pressurizzato (quindi al "vuoto") e si trovava a poppa. Lì c'era il sistema propulsivo per le correzioni delle traiettoria, un KTDU modello 53 [Korrektiruiushaia Tormoznaia Dvigatelnaia Ustanovka, ‘‘motore di correzione della traiettoria e di frenatura’’]. Questo propulsore era capace di fornire, per due volte in assenza di peso, una spinta di 4,089 kN. Il KTDU usava come carburante la dimetilidrazina non simmetrica, conosciuta in Occidente come UDMH (dimetilidrazina asimmetrica).). Infine il "motore" principale aveva un'unica camera di combustione dove la pressione raggiungeva i 39,2 bar. I 400 kg di UDMH si trovavano in quattro serbatoi sferici dentro il compartimento aggregato.

Rispetto alla navicella Soyuz 7K-OK mancava il compartimento abitabile a prua. La lunghezza dell'intero veicolo spaziale era di 5 metri (senza il modulo aggregato si arrivava a 4,7 metri). Il diametro massimo era 2,72 metri alla "base", mentre intorno al corpo principale si arrivava a 2,2 metri. La massa complessiva dell'astronave si attestava sui 5375 kg (2760 i primi due moduli + 2615 il compartimento cilindrico). Per costrizioni di massa nel volo circumlunare il peso non doveva essere inferiore a 5 e superiore a 5,5 [tonnellate]. Il modulo di rientro poteva sia galleggiare nel mare oppure atterrare al suolo. Nel modulo di discesa c'era un scudo termico sufficientemente rinforzato per resistere alle velocità lunari di rientro. Questa protezione poteva essere distaccata prima dell'atterraggio. Dentro il modulo di discesa c'erano: pannello di controllo, calcolatore di bordo, strumentazione scientifica, telecamera, equipaggiamento per i collegamenti radio, sistemi di supporto vitale, batterie, sistemi per la regolazione termica, dispositivo di orientamento ottico, batteria elettrica.

L'elaboratore di bordo (un “Argon-11”) poteva eseguire fino ad un massimo di 15 istruzioni. Inoltre aveva 4096 word di istruzioni memorizzate indelebilmente nella ROM. Invece la memoria operativa aveva una capacità di 128 word. L'elaboratore controllava anche un registratore dati a nastro magnetico. Il peso del calcolatore era di 34 kg ed aveva un consumo elettrico di 75 W.

 

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Il calcolatore Argon-11

 

Un eventuale equipaggio di due persone poteva trascorrere 8-10 giorni entro la capsula, che aveva un volume di 2,5 m³. Il modulo di servizio era molto più piccolo di quello di una navicella Soyuz, che aveva un volume interno di 6,5 m³.

Un sistema di otto iniettori, posto sul compartimento aggregato, veniva usato sia per la stabilizzazione che la dissipazione delle "perturbazioni" susseguenti al distacco dall'ultimo stadio del vettore. I "razzetti a getto" potevano avere una spinta di 9,8 e 14,1 N;  questi micropropulsori utilizzavano 30 kg d'idrossido d'idrogeno compresso. I sistemi di orientamento e di controllo dell'assetto utilizzavano: sensori solari (il 99K), sensori stellari (il 100K), giroscopi, strumenti di comando, dispositivi di memoria ecc. Gli otto ugelli permettevano di ruotare la navicella per orientare i sensori verso i corpi celesti (Sole, Terra o Sirio). La rotazione dell'astronave verso i corpi celesti di riferimento avveniva sia prima delle correzioni della traiettorie che dell'entrata negli strati più alti dell'atmosfera. Rispetto ad una Soyuz, il numero degli iniettori per l'imbardata (rotazione lungo l'asse verticale) erano doppi. Questo accorgimento migliorò il rientro guidato e permise così di rimuovere il paracadute di riserva. L'unico paracadute a disposizione sarebbe stato quello "a cupola", ampio 1000 m².

Il sistema elettrico (alimentato dai pannelli solari) aveva una potenza di 0,8 kW. Dal compartimento aggregato si stendevano a destra e sinistra, come ali d'uccello, due pannelli solari. Ognuno di questi era diviso in tre parti ed aveva dimensioni di 3 x 9 metri. La superficie utile di ciascun pannello era di 11 m².

 

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Le telecomunicazioni avvenivano attraverso un'antenna a disco (diametro: 1,2 metri) ed un'apparecchiatura radio. Le frequenze usate erano: 922,76 MHz per l'invio dati scientifici e telemetria;  768 MHz per la ricezione dei comandi dalla Terra. L'antenna parabolica usava un suo sensore ottico (per la precisione un 101K) per stare sempre allineata con la Terra. Dato che questa antenna era attaccata al modulo di rientro, poteva essere distaccata quando il suo lavoro era finito cioè al rientro. Forse le due piccole (diametro: 5 cm;  altezza: 5 cm) antenne cilindriche fungevano da riserva per inviare i dati scientifici raccolti.

 

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DESCRIZIONE DI UNA MISSIONE CIRCUMLUNARE PILOTATA

 

Nominalmente la missione L1/Zond con equipaggio era così strutturata: dopo il lancio, la navicella con una prima accensione dello stadio di fuga (Blocco D) si sarebbe inserita in una bassa orbita di parcheggio terrestre (220  x 190 km;  51,5° d'inclinazione). I cosmonauti a bordo avrebbero controllato lo stato di tutti i sistemi per un giorno o un'orbita. Al momento opportuno, il Blocco D avrebbe fornito la velocità di fuga per "staccarsi" dalla Terra e andare verso la Luna. La navicella doveva essere poi stabilizzata in rotazione al ritmo di un giro al minuto;  in questo modo i pannelli avrebbero ricavato la massima energia. L'astronave sarebbe poi transitata ad una distanza di 1000-12.000 km;  intanto i cosmonauti avrebbero eseguito sessioni fotografiche e televisive. In ogni caso era necessario arrivare sulla Luna quando questa aveva un'"età" di 23,3-23,8 giorni terrestri. In questo modo il Sole si sarebbe trovato "dietro" permettendo la migliore osservazione della faccia nascosta. Inoltre l'allineamento nei "vettori" Sole-Luna e Luna-Terra semplificava la traiettoria e riduceva al minimo le perturbazioni gravitazionali del Sole sul piano di volo. Comunque si poteva prevedere lo studio della radiazione solare, dei raggi cosmici e di piccoli "carichi biologici". Nel corso della missione da sette giorni erano necessarie 3-4 manovre di correzione della traiettoria: la prima a 250.000 km dalla Terra, la seconda e terza nella viaggio di ritorno (rispettivamente a 320.000 e 150.000 km dal nostro pianeta).

Prima del rientro nell'atmosfera terrestre, l'antenna parabolica e il compartimento strumentale dovevano separarsi dall'apparato di discesa. Il rientro, guidato precisamente, aveva tre fasi: due "endo-atmosferiche" ed una intermedia "esosferica". Il primo "tuffo" nell'atmosfera doveva decelerare il veicolo a circa 7,5 km/s. Dopo la capsula sarebbe "rimbalzata" sull'atmosfera lungo una traiettoria balistica per infine rientrare ad una velocità di 200 m/s.

 

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Disegno esemplificativo sulla discesa delle navicelle Zond

 

Uno speciale sistema di guida doveva controllare il moto dell'apparato di discesa attraverso l'intero cammino di discesa. In questo modo, il sistema poteva cambiare la forza di sollevamento controllando la rotazione della navicella. La lunghezza della traiettoria di rientro poteva variare fra 6.000 e 10.500 km. Tutto dipendeva dall'angolo fra il piano dell'orizzonte e l'astronave al momento del rientro. Dopo il doppio "tuffo", la capsula sarebbe caduta appesa al paracadute. Lo scudo termico veniva distaccato e poco prima dell'atterraggio si sarebbero accesi i retrorazzi come per le navicelle Soyuz. Se per una qualsiasi ragione il rientro guidato fosse fallito, tipo la non possibilità di atterrare in Kazakhstan, allora il modulo di discesa avrebbe eseguito un semplice rientro balistico con un conseguente ammaraggio nell'Oceano Indiano.

 

STRUMENTAZIONE SCIENTIFICA

 

1. telecamera;

2. rilevatore di protoni;

3. esperimento biologico.

Telecamera

probabilmente era dello stesso tipo di quelle usate nelle precedenti missioni Zond. Lo scopo era quello di riprendere le primi immagini della Terra alla distanza di circa 90.000 km. Non era prevista la ricognizione fotografica della Luna;  questo perché la sonda avrebbe sorvolato la faccia nascosta (già fotografata da Luna-3 il 07.10.1959 e Zond-2 il 20.07.1965).

Rilevatore di protoni

si componeva di due dispositivi: il primo rilevava i protoni negli intervalli energetici: 1,5-10 e 10-21 [MeV]. Il secondo dispositivo era un telescopio, sempre composto da due identici sensori al silicio-litio, che rilevava solo i protoni con energie comprese in uno di questi intervalli energetici: 30-35 oppure 45-50 [MeV]. I due dispositivi erano mantenuti perpendicolarmente all'eclittica (piano immaginario dove i pianeti orbitano intorno al Sole).

Esperimento

biologico

per studiare gli effetti di un viaggio Terra-Luna e ritorno su un essere vivente, venne stipato sul modulo di rientro un variegato "carico biologico". Nell'ordine c'erano: due tartarughe della steppa (Testudo horsfieldi Gray) dal peso di 0,34-0,4 ciascuna;  237 uova di moscerino della frutta (Drosophila melanogaster); semi secchi di grano, orzo, pisello, pino, carota, pomodoro;  pianta della Tradescantia paludosa; una cultura di batteri lisogenici. I due rettili furono piazzati nella navicella 13 giorni prima del lancio e senza cibo! Infatti gli scienziati volevano studiare la privazione di cibo ed i conseguenti (e gratuiti) cambiamenti al metabolismo delle due tartarughe.

 

Alla fine dell'estate del 1968 i risultati ottenuti dal programma circumlunare pilotato L1 erano sconfortanti. I piani originali come già detto prevedevano quattro voli automatici prima del volo con equipaggio. Dei quattro tentativi dal Settembre 1967 c'erano stati tre completi fallimenti ed un parziale successo (Zond-4). La prima delle tre rimanenti navicelle 7K-L1 arrivò al cosmodromo Baikonur per la finestra di lancio di Settembre. Se tutto andava per il verso giusto si potevano programmare missioni L1 per le finestre di Ottobre, Novembre e Dicembre. Tyulin, Kamanin ed alcuni cosmonauti del programma L1 arrivarono al cosmodromo il 10 Settembre. Purtroppo le risorse stanziate per le squadre di ricerca e recupero vennero dimezzate. Se la navicella non poteva rientrare nelle steppe del Kazakhstan, allora doveva per forza ammarare nell'Oceano Indiano. Comunque un recupero in oceano era più semplice e meno costoso dato che la capsula pesava non poco. Il 14 Settembre i vice capi progettisti, Nikolaj I. Trufanov (1900-82) e Yevgeni V. Shabarov, rispettivamente responsabili del razzo e della sonda, confermarono che tutto era pronto. 

 

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14.09.1968, 21:42 [filmato]

 

Alle 21:42:10.77 del 14 Settembre un titanico razzo Proton K/D (un bi-stadio 8K82K unito ad un “Blocco-D”) decollò con la nona navicella 7K-L1. Fu davvero un lancio perfetto perché il ritardo venne quantificato in appena 0,07 secondi. La Luna al momento del lancio aveva un'"età" di 22,04 giorni. A 42 km di quota, lo stadio-1 si separò dallo stadio-2 (T+126’’). Ai 130 km di quota, lo stadio-2 si separò dallo stadio-3 (T+185’’). Ad un'altezza di 161 km il terzo stadio si spense come previsto (T+481’’). Così il razzo iniziò a "costeggiare" in maniera inerte per 251’’ [4’ e 11’’]. Infine il Blocco-D si accese per 108 secondi inserendo l'oggetto spaziale in un'orbita terrestre di "parcheggio" (191 x 219 km;  88,89'; 51,61°).

Alle 22:49 lo stadio di fuga si riaccese ed impartì alla navicella una velocità sufficiente per farla arrivare sulla Luna. Solo dopo il corretto inserimento nella traiettoria translunare, la TASS annunciò il lancio di Zond-5 (così fu battezzata la sonda secondo la denominazione ufficiale della missione). I primi dati del volo erano incoraggianti, ma furono registrato alcuni malfunzionamenti alquanto inquietanti. I controllori di volo a Yevpatoriya scoprirono ben presto che il sensore stellare 100K non funzionava. Successive diagnosi mostrarono che il guasto era conseguente alla contaminazione della superficie ottica. Stranamente la protezione termica della navicella era sublimata per il calore. Così un piccolo residuo si era staccato dal rivestimento interno per poi posarsi sul sensore e quindi "offuscandolo". Con un sensore guasto, posizionare l'astronave in vista della manovra di correzione della traiettoria non era cosa da poco. Appena appreso del guasto, Tyulin e Kamanin volarono da Baikonur a Yevpatoriya. Nella prima mattina del 17 Settembre i controllori di volo riuscirono ad utilizzare i meno precisi sensori, solari e terrestri, per orientare la navicella. Alle 03:11 Zond-5 eseguì la prima correzione di rotta quando la Terra era già lontana 325.000 km. Così l'apogeo dell'orbita si sarebbe spostato oltre la Luna.

 

| AGGIRAMENTO DELLA LUNA |

 

Dopo 78,97 ore di volo, alle 04:40 del 18 Settembre, il veicolo spaziale transitò a soli 1950 km dalla superficie lunare. Poi Zond-5 iniziò il suo viaggio di ritorno verso la Terra.

 

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La missione in forma schematica:

1. trasferimento nell'orbita di parcheggio terrestre;

2. inizio del tragitto translunare;

3. corridoio di rientro;

4. discesa balistica nell'atmosfera.

 

Nella notte fra il 19 e 20 Settembre l'osservatorio inglese di Jodrell Bank stava monitorando le trasmissioni da Zond-5. Ad un certo punto, venne captata una voce russa che dalla navicella elencava valori strumentali! Si ipotizzò che fosse la riproduzione di una voce pre-registrata, ma molto probabilmente i cosmonauti del programma L1 stavano recitando il ruolo di un reale equipaggio che trasmetteva i suoi rapporti dallo spazio. Anche Popovich, Bybovskiy e altri erano andati a Yevpatoriya insieme a Tyulin e Kamanin. Come se non bastasse, si guasto pure il sensore terrestre 101K. In seguito fu appurato che era stato montato in maniera sbagliata a causa di un errore nella documentazione tecnica! Per evitare l'avaria fatale di Zond-4, fu disattivato il sistema di rientro guidato.

 

- 21 Settembre -

 

| Il rientro |

 

Per i controllori di volo far atterrare Z.-5 rimaneva difficile;  ma come sfida era davvero stimolante. Però con tutti questi guasti, la speranza di far rientrare la capsula in Unione Sovietica era davvero esile. Infatti serviva un assetto altamente preciso durante l'accensione del propulsore principale. I controllori di volo decisero per un rientro con una traiettoria balistica nell'Oceano Indiano utilizzando il sensore solare 99K e gli ugelli per il controllo dell'assetto. Alle 10:00 il centro di controllo di Yevpatoriya assunse la gestione dell'ultima fase della missione. Alle 11:30 venne ricevuta l'ultima sessione telemetrica. Naturalmente la velocità della navicella stava aumentando sotto l'azione gravitazionale della Terra. Con una serie di comandi inviati dall'antenne della Crimea, la  navicella fu "dondolata" da una parte all'altra. In questo modo la spinta dei due motori sarebbe stata orientata verso la Terra.

A circa 143.000 km dal nostro pianeta fu comandata l'accensione del KTDU. Grazie ai piccoli ugelli per il controllo dell'assetto, si poté orientare la direzione della spinta propulsiva. Così Z.-5 imboccò il minuscolo "corridoio" nell'atmosfera terrestre per poter rientrare balisticamente nell'Oceano Indiano. Non si poteva certo scherzare con l'angolo di discesa rispetto all'orizzonte locale: doveva essere di 5-6°, cioè l'altezza costrittiva del perigeo. Perfino un grado in meno sarebbe stato troppo: avrebbe aumentato il carico di g (forza di gravità=9,81 m/s²) da 10-16 a 30-40 unità! Oltre questi limiti c'erano due estremi, ugualmente fallimentari: l'astronave poteva disintegrarsi oppure rimbalzare sull'atmosfera e perdersi nello spazio.

 

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21.09.1968, 09:08 — La Terra vista  da circa 90.000 km

 

Alle 13:00 fu inviato l'ultimo comando: il trasmettitore doveva inviare la posizione quando la sonda fosse transitata sopra il polo Sud. Il direttore di volo a Yevpatoriya, Pavel A. Agadzhanov, ordinò alla Borovichi (una nave dell'Accademia delle Scienze che si trovava ai 31°33’ sud e 68°43’ est) di portarsi verso il punto previsto. Comunque c'erano anche altre due navi nei paraggi: Morzhovtsa (65°30’ e 17°00’) e Bezhitsy (58°08’ e 11°24’). A 85-90mila km di distanza, la telecamera di bordo riprese immagini del nostro pianeta. Erano in assoluto le prime foto della Terra da un quarto di distanza dalla Luna. La tensione era palpabile sia a Yevpatoriya che al "Centro di Coordinamento-Calcolo" di Kaliningrado. Alle 15:00, quando la navicella si trovava a circa 80.000 km, come era previsto s'interruppe il contatto radio. Il diametro del corridoio di rientro, posto a circa 45 km di quota, aveva un diametro circa 10-13 km. Imboccarlo a 11 km/s, tanta ammontava la velocità della sonda nel percorso Terra-Luna-Terra lungo oltre 800.000 km, era come centrare una moneta a 600 metri di distanza!

 

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Il rientro in forma schematica:

1. corridoio di entrata;

2. traiettoria di discesa balistica;

3. limite di costrizione dell'atmosfera;

4. traiettoria senza prendere in considerazione l'atmosfera;

5. altezza di costrizione del perigeo;

6. limite superiore del corridoio di rientro;

7. zona calcolata per l'atterraggio;

8. limite superiore del corridoio di rientro;

b. punto entrata nell'atmosfera per atterrare nel limite lontano dalla zona prefissata;

C. punto entrata nell'atmosfera per atterrare nel limite vicino dalla zona prefissata.

 

| L'AMMARAGGIO |

 

Alle 15:54, il dispositivo temporizzatore comandò il distacco della capsula di rientro dal modulo aggregato. Alle 15:58 ripresero le comunicazioni radio. Ai 7 km di quota, quando la velocità era di 200 m/s (720 km/h), venne dispiegato il paracadute per rallentare la discesa. Alle 16:02 la navicella fece il suo ingresso negli strati bassi dell'atmosfera. Alle 16:08 GMT, le 21:08 locali, Zond-5 ammarò alle coordinate 32°38’ latitudine sud e 65°33’ longitudine est (a largo del Madagascar). Il volo della prima navicella circumlunare era durato: sei giorni, 18 ore, 34 minuti. Sicuramente un boom sonico sconquassò una vasta zona dell'oceano. Alle 16:45, secondo i calcoli balistici, fu stimato che la Borovichi era a circa 105 km dalla capsula. Però nella zona c'erano anche ospiti "non desiderati" come navi della marina Usa. Dopotutto erano acque internazionali e sicuramente gli americani volevano osservare il recupero della sonda. L'alto ufficiale a Yevpatoriya non voleva assolutamente compromettere la missione e quindi non lesinò mezzi per trovare la capsula.

 

- 22 Settembre -

 

| IL RECUPERO |

 

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Alle 03:17 (06:17 di Mosca, 08:17 locali) la Borovichi arrivò in prossimità del modulo di rientro malconcio (infatti aveva resistito ad una decelerazione di ben 20 g, che aveva provocato un riscaldamento fino a 13.000 °C). L'SA pesante circa 2.046 kg fu tirato a bordo alle 08:45 e venne poi coperto con un telo. Le navi americane osservarono il recupero e poi lasciarono l'area. La sonda fu poi trasbordata su una nave oceanografica, il Vasily Golovnin. Il 4 Ottobre la nave arrivò al porto di Bombay, Z.-5 era chiusa in un contenitore. Gli ufficiali sovietici la portarono all'aeroporto cittadino e poi verso Mosca usando un aereo militare An-12.

Il 7 Ottobre la capsula venne aperta: furono così recuperate le pellicole con le foto della Terra e analizzate le condizioni del "carico biologico". Delle 237 uova di mosca, solo 17 avevano prodotto esemplari adulti. L'analisi delle successive generazioni di mosche rilevarono anomalie cromosomiche e mutazioni spontanee 10 volte superiori alla norma.

 

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Le tartarughe che erano a bordo

 

Le tartarughe erano vive ed avevano perso il 10% del loro peso corporeo. Anche le due piccole tartarughe mostrarono di aver subìto conseguenze dall'ambiente spaziale. Dopo una probabile soppressione "non naturale", venne analizzato il loro fegato: lì furono trovate quantità abnormi di glicogeno e di ferro.

 

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Zond-5 esposta al museo RKK Energia a Korolyov; sulla sinistra c'è la capsula del Soyuz-3

 

Il programma L1 non vide mai un equipaggio sovietico circumnavigare la Luna. La successiva missione Zond-6, anche questa senza equipaggio, fu un mezzo fallimento: la circumnavigazione lunare fu compiuta, ma la capsula al rientro si schiantò poco lontano dal cosmodromo di Baikonur dove era stata lanciata una settimana prima. Comunque fra il 15 e 17 Dicembre si presentò una "finestra" per lanciare una missione circumlunare pilotata. Ma non era solo l'ultima "finestra" di lancio del 1968... ormai la partenza dell'analoga missione americana Apollo-8 era prossima. Due equipaggi di due cosmonauti ciascuno si addestrarono, il vettore Proton e una nuova navicella Zond arrivarono al cosmodromo il 1° Dicembre. Ma come una maledizione ci furono problemi a non finire con la capsula, inoltre il Cremlino non diramò mai l'ordine di lancio. Così la finestra di lancio svanì e l'agognato primato, obiettivo del programma L1, svanì con il lancio di Apollo-8 il 21 Dicembre 1968. La missione della Nasa fu un successo: a bordo della navicella Apollo tre astronauti riuscirono a compiere 10 orbite della Luna e tornarono vivi a terra. Infine ecco un aneddoto curioso: si dice che su Zond 8 (Agosto 1969) c'erano due manichini vestiti da cosmonauti. La sonda riuscì a completare con un successo una circumnavigazione della Luna. L'autorità militare sovietiche comunicarono che a bordo della sonda c'erano solo quattro tartarughe.

Attualmente la capsula è conservata ed esposta nel museo dell'RKK Energia di Korolëv;  fino al 1996 si chiamava Kaliningrad poi venne intitolata al famoso capo costruttore. In particolare RKK’ sta per Rokyetnaya Kosmicheskaya Korporatsiya cioè ‘‘compagnia di missilistica e aeronautica’’; questa struttura non è altro che l'ex OKB-1, creato e diretto proprio da Korolev.

 

NOTA: Le foto 18) è bordata in giallo perché "linka" alle corrispondente immagini ad alta risoluzione jpeg.

 

RINGRAZIAMENTO:

 

Vorrei ringraziare l'amico e grande appassionato d'astronautica Paolo Ulivi, che ha trovato un archivio Nasa ricchissimo di documenti pdf davvero interessanti. Fra questi c'è il “Challenge to Apollo: the Soviet Union and the space race, 1945-1974” di Asif A. Siddiqi (LINK) che mi ha permesso di comprendere molto meglio la corsa dell'Unione Sovietica nello spazio. Senza questo documento, indicato da Paolo, non avrei potuto aggiornare questa ed altre schede d'astronautica.

 

FONTI, RIFERIMENTI, LINK DEL MATERIALE UTILIZZATO PER QUESTA SCHEDA

 

x IMMAGINI, FOTO, DISEGNI e SCHEMI:

 

- immagine (1): LINK;

- schema (2): LINK;

- schema (3): LINK;

- schema (4): LINK;

- schema (5): LINK;

- schema (6): LINK;

- foto (7): LINK;

- foto (8): LINK;

- disegno (9): LINK;

- disegno (10): LINK, vedi nota 1;

- foto (11): LINK;

- schema (12): LINK;

- schema (13): LINK;

- disegno (14): LINK;

- disegno (15): LINK, vedi nota 2;

- foto (16): LINK;  

- schema (17): LINK, vedi nota 3;

- foto (18): LINK;

- schema (19): LINK, vedi nota 3;

- foto (20): LINK;

- foto (21): LINK;

- foto (22): LINK;

- foto (23): LINK.

 

Nota 1: dato che lo schema conteneva del testo in francese, mi sono permesso di cancellarlo. Questo schema era contenuto in un unico elemento grafico, così è stato necessario ritagliarlo.

Nota 2: dato che il disegno era contenuto in un unico elemento grafico, ho dovuto necessariamente ritagliarlo.

Nota 3: dato che lo schema conteneva del testo in cirillico, mi sono permesso di cancellarlo. Le modifiche sono state apportate solo per una maggiore comprensione. Anche questo schema era contenuto in un unico elemento grafico, così è stato necessario ritagliarlo.

 

x il TESTO:

 

• National Space Science Data Center, zond1967a (Zond-1967A);

• National Space Science Data Center, zond1967b (Zond-1967B);

• National Space Science Data Center, 1968-013A (Zond-4);

• National Space Science Data Center, zond1968a (Zond-1968A);

• National Space Science Data Center, 1968-076A (Zond-5);

• Space.40, 1968-013A [nota: il testo è in ceco];

• Space.40, 1968-076A;

• Epizodsspace.narod.ru, Biblioteka, 1969 - LINK [nota: il testo è in cirillico];

• Novosti-kosmonavtiki.ru, LINK [nota: il testo è in cirillico];

• Paolo Ulivi (“L'ESPLORAZIONE DELLA LUNA”, 28.12.2002), pagg. 183-185;

• Deep Space Chronicle, 1967 - LINK [file .pdf];

• Deep Space Chronicle, 1968 - LINK;

• Encyclopedia Astronautica (“KTDU-53”), LINK;

• Aeronautics.ru (“Russian space engines: Russia”), LINK;

Planet4589.org (“Russian engines”), LINK;

• My Little Space Museum, (“Zond circumlunar spacecraft 7-K L1”) - LINK;

• Encyclopedia Astronautica (“Location of russian manned spacecraft”), LINK;

• Encyclopedia Astronautica (“Zond-5 (908)”), LINK;

• Homepage of Don Mitchell (“The soviet exploration of Venus”, “First pictures of surface of Venus”) - LINK;

• Homepage of Don Mitchell (“Soviet Moon Images”), LINK;

• Homepage of Don Mitchell (“The soviet exploration of Venus”, “Biographies”), LINK;

• Jodrell Bank Observatory (“Jodrell Bank's role in early space tracking activities - Part 2”), LINK;

• Sven's Space Place, (“Radio systems of the Zond-4-8 series of spacecraft”) - LINK;

• Sven's space place (“Vostok retro-fire attitude”), LINK;

• Sven's Space Place, (“Mission profiles of 7K-L1 flights”) - LINK;

• Sven's Space Place, (“An analysis of the Soyuz-1 flight”) - LINK;

• Sven's space place (“Space Frequency Listing, 700-1600 MHz, Downlink”) - LINK;

• Royal Aircraft Establishment table of satellites, 1968 - LINK [file .DOC];

• Asif A. Siddiqi, (“Challenge to Apollo: the Soviet Union and the space race, 1945-1974”), pagg. 529-533;  574-608;  627-622;  671-675;  LINK [file pdf · 64,3 MB · 1034 pagine].

 

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