“UN'ULTIMA FRASE” {2010}
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GENNAIO
« Ti prego dammi l'aria
... »all'amico Ettore Milano; 02.01.1960, 2 circa
ANGELO FAUSTO COPPI (‘Il campionissimo’, l'Airone) •
ciclistaA. Castellania
¦casa natale¦ (Alessandria), 15.09.1919
Ω.
Tortona ¦ospedale cittadino¦ (Alessandria), 02.01.1960 08:45Il
10 Dicembre 1959 Coppi partì per nell'Alto Volta, l'attuale Burkina Faso; il 14 partecipò al criterium di Ougadougou da 60 km arrivando alle spalle di Anquetil, ma davanti ad Anglade e Rivière; Geminiani si ritirò. Nei giorni successivi prese parte ad una battuta di caccia nella boscaglia attorno alla città africana. In quelle notti nella savana africana lui e Raphael Geminiani furono letteralmente martoriati poiché i letti nella loro stanza non avevano zanzariere. Il 18 tornò in Italia, il 23 era a Milano per impegni di lavoro ma si sentiva già male. Il Natale lo passò a Villa Carla con i familiari; il 26 andò con la compagna Giulia a Nizza per una riunione con dirigenti francesi di ciclismo. Al ritorno fece guidare la donna perchè aveva un terribile mal di testa. Il 27 telefonò a Geminiani: voleva che gli combinasse una squadra di corridori francesi per la sua omonima bici. Inoltre gli disse che si sentiva addosso l'influenza... La sera stessa si mise a letto con 40 di febbre; ma questa non calò nemmeno il giorno dopo, anzi si aggiunsero nausea e brividi. Fu così chiamato il medico personale, Ettore Allegri, che diagnosticò l'influenza e prescrisse antibiotici. Intanto Geminiani era andato in coma, anche per lui il medico aveva fatto altre diagnosi: epatite, ‘febbre’, tifo; però un campione del suo sangue fu portato all'Istituto Pasteur. Il responso fu terribile: malaria perniciosa da plasmodium falciparum. Fortunatamente non era troppo tardi, i medici lo "bombardarono" di chinino e lo salvarono. La moglie di Raphael telefonò a Villa Carla/casa Coppi e disse che il marito aveva la malaria e quindi pure Fausto ne era malato. Una persona, sembra un medico, gli rispose di non impicciarsi e che l'avrebbero curato a loro modo... Il 29 venne interpellato anche il professore Giovanni Astaldi, primario di medicina all'ospedale di Tortona; questi formulò un'altra diagnosi: broncopolmonite emorragica da virus! Così agli antibiotici venne aggiunto il cortisone che per la malaria è come concime. Il 31 Dicembre Giulia, vedendolo praticamente agonizzante, chiamò un altro medico: il professor Aminta Fieschi (direttore dell'Istituto della patologia medica speciale dell'Università di Genova). Questi giunse verso le 15 del 1° Gennaio 1960 e subito comprese l'estrema gravità: dispose l'immediato ricovero all'ospedale di Tortona perchè Genova era troppo lontana. Prima di farsi portare via in barella, volle vedere l'impaurito Faustino; gli fece un cenno e lo salutò: «Papo, non fare arrabbiare la mamma». Finalmente all'ospedale di Tortona gli fu somministrato il chinino; la febbre scese a 37 °C, ma ormai il fisico ne aveva già risentito... L'ultima notte, quella fra il 1° e 2 Gennaio gli rimase accanto l'ex capitano alla Bianchi, e suo ex gregario, Ettore Milano. Alle prime ore del 2 Gennaio cadde in infine coma e morì alle 08:45. Analisi post-morte confermarono la presenza del temibile plasmodium falciparum. Secondo alcune fonti un campione di sangue era stato analizzato in un istituto di Genova solo qualche giorno prima della morte perchè il macchinario dell'ospedale di Tortona non funzionava. Ogni 2 Gennaio le campane del paese natale di Coppi (Castellania) rintoccano a suo ricordo. Dopo una lunghissima carriera universitaria, Aminta Fieschi fu collocato a riposo nel 1979; si spense 87enne a Genova il 24 Novembre 1991. Giulia Occhini, a suo tempo soprannominata ‘la Dama bianca’, si spense la mattina del 6 Gennaio 1993 nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Novi Ligure ¦fonte¦. Era in stato di coma profondo dal 03.08.1991 quando davanti a Villa Carla fu coinvolta in un incidente stradale ¦fonte¦. Giovanni Astaldi, specializzato in ematologia, divenne un vero e proprio luminare; morì nel 2001 all'età di 87 anni. Nel Gennaio 2002 le rivelazioni del Corriere dello Sport su un presunto avvelenamento, ordito dagli indigeni per punire uno sgarbo subìto anni prima da un loro atleta, portarono all'apertura di un fascicolo da parte della Procura della Repubblica di Tortona. Tale procedimento, contro ignoti e senza ipotesi di reato, è stato poi archiviato nel 2003. Ettore Allegri ha sempre sostenuto che quella forma di malaria fosse particolare; ecco perchè l'avrebbe confusa con l'influenza ¦fonte¦! Ettore Milano proseguì la sua carriera da direttore sportivo nella Carpano, Sanso e Zocca. Smise nel 1979; si spense 86enne nel 2011. Geminiani divenne il direttore sportivo della “St. Raphael” di Jacques Anquetil. Da molti anni si è ritirato a Clermont-Ferrand dove è nato il 12.06.1925.FEBBRAIO
« Se qualcuno ha un messaggio per il Diavolo
me lo dia; tanto lo incontrerò presto. »ultima dichiarazione sul patibolo con addosso un vestito da sposa
A. Stati Uniti, 1793
Ω. Charleston
¦‘Old City Jail’¦ [South Carolina], 18.02.1820esecuzione di una sentenza capitale mediante impiccagione link
MARZO
« Penso che così starò più comodo.
»all'infermiera della sua stanza
LOUIS FRANCIS CRISTILLO (Lou Costello, ‘Pinotto′) •
attore e comicoA. Paterson (contea di
Passaic) [New Jersey], 06.03.1906Ω. Los Angeles—Beverly Hills ¦Doctors Hospital¦, 03.03.1959 15:55
attacco cardiaco link
Il famoso attore comico (′Pinotto′ in Italia) il 1° Marzo 1959 accusò un malore mentre guardava la tv a casa sua; così fu ricoverato al Doctors Hospital di Beverly Hills. Secondo l'analisi aveva accusato delle complicazioni per una febbre reumatica di molti anni prima. Potendoselo permettere gli venne riservata una stanza con tre infermiere che si alternavano nelle 24 ore. Alle 15 del 3 Marzo salutò la moglie che era venuto a visitarlo dicendogli che si sentiva bene; la donna se andò promettendogli di tornare in serata. Verso le 15:55 chiese all'infermiera di girarlo dall'altro parte perchè sarebbe <<stato più comodo>>. Pochi secondi dopo Costello crollò sul cuscino e se ne andò per un infarto fulminante; avrebbe compiuto 53 anni tre giorni dopo. La vedova, Anne Battlers
, che era stata con lui dal 30.01.1934, cadde nell'alcolismo; morì il 5 Dicembre 1959 ad appena 47 anni.APRILE
« Kaputt...
»Manfred Albrecht von Richthofen (Il barone rosso
) • combattente aviatoreA. Breslavia/
oggi Wrocław [oggi Polonia; allora Impero tedesco], 02.05.1892 21:30
Ω. Vaux-sur-Somme
¦trincea fronte occidentale¦ [Francia], 21.04.1918 11All'inizio della ‘Grande guerra’ von Richthofen prestò servizio come ufficiale in un reparto di cavalleria impegnato nelle ricognizione sui fronti occidentali e orientali. Volendo partecipare in maniera. per così dire più attiva, chiese di essere trasferito all'Aeronautica militare. La sua richiesta fu esaudita nel Maggio del 1915; da Giugno a Agosto fece l'osservatore in missioni di ricognizione sul fronte occidentale, da Ottobre iniziò il corso per pilota. Nell'Agosto 1916 fu selezionato da Oswald Boelcke, un grande aviatore dell'epoca, per il suo gruppo da combattimento “Jagdstaffel”. A bordo di un Albatros C.III ebbe il suo battesimo del fuoco il 17 Settembre 1916 sui cieli di
Cambrai in Francia; lì abbatte il primo velivolo nemico. Il 24 Giugno 1917 gli venne affidato il comando della “Jasta 11”, la squadriglia poi conosciuta come ‘il Circo Volante′. Dato che la maggior parte degli aerei che von Richthofen pilotava, a partire dall'Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso gli fu affibbiato il soprannome di ‘Barone rosso′. Il 6 Luglio 1917 rimase ferito alla testa mentre combatteva contro la 20ª squadriglia inglese vicino Wervik in Belgio. Perse conoscenza ma si ridestò appena in tempo per fare un atterraggio di emergenza; a causa di questa "sconfitta" rimase ricoverato in ospedale per diverse settimane. Quel pilota, l'unico ad aver abbattuto e ferito il ‘Barone′, dovrebbe essere stato il capitano Donald Cunnell. Von Richthofen ritornò in servizio in Ottobre ma soffriva di nausea post-volo ed emicranie. Durante la convalescenza aveva scritto un'autobiografia, probabilmente con l'aiuto di un ghostwriter. Nel 1918 gli fu chiesto di fare servizio a terra per evitare che una sua morte potesse influire sul morale delle truppe Naturalmente rifiutò l'offerta e continuò a combattere nei cieli; la propaganda continuò a "pompare" le sue azioni e fece girare la voce che la monarchia britannica avrebbe assegnato la Victoria Cross a chi avesse abbattuto von Richthofen. Questi il 21 Aprile 1918 decollò da Cappy (sulla Somme) con altri nove piloti, fra cui il suo cugino Wolfram Ritter von Richthofen. Sui cieli sopra le trincee del fronte occidentale affrontarono la 209ª squadriglia della neonata Raf sui loro Sopwith Camel. Il giovane tenente canadese Wilfrid May vide che Wolfram von Richthofen restava ai margini del combattimento aereo e così gli si mise alla coda. Il ‘Barone′ quando s'accorse che il cugino era in pericolo inseguì May, questi avendo la mitragliatrice inceppata tentò di allontanarsi; inoltre era la sua tattica: cercare velivoli in difficoltà emettersi alla loro caccia. Il capitano Arthur Roy Brown, altro pilota canadese, quando vide il triplano di Manfred von Richthofen che stava per attaccare May fece altrettanto. Quasi senza accorgersene i tre aerei si trovarono a volare a bassissima quota sulla terra di nessuno che separava i due fronti. Von Richthofen decise di tornare indietro ma fece la virata proprio sulle zone più munite ed infatti dalle trincee partirono raffiche di colpi. Un solo proiettile .303, sparato da un fucile o una mitragliatrice inglese, lo colpì al torace lesionando cuore e polmoni. Seppur gravemente ferito riuscì ad effettuare un atterraggio in un campo su una collina vicino alla strada Bray-Corbie, appena a nord del villaggio di Vaux-sur-Somme (settore controllato dall'AIF). Quando dei soldati australiani raggiunsero l'aereo trovarono von Richthofen ancora vivo; a detta sergente Ted Smout dell'Australian Medical Corps, l'ultima parola da lui pronunciata sarebbe stata «Kaputt» [‘‘caduto’’, ‘‘abbattuto’’, ‘‘finito’’]. L'aereo, un Fokker Dr.I, 425/17, ebbe danni leggeri ma fu poi "smembrato" dai cacciatori di souvenir. Dall'autopsia risultò che sul torace c'erano ferite d'entrata ed uscita per un unico colpo; questi era penetrato all'altezza della nona costola sul lato destro fratturandola, poi il proiettile aveva colpito la colonna spinale uscendo fuori sul lato sinistro del torace cinque centimetri sopra dove era entrato. Il 22 Aprile venne officiato un funerale militare, gli aviatori portarono la bara in spalla e fu predisposto un picchetto d'onore ¦foto¦. Il ‘Barone′ fu sepolto nel cimitero del villaggio di Bertangles vicino Amiens. Qualche giorno dopo un caccia inglese sorvolò Cappy e lasciò il seguente messaggio: ‘AL CORPO D'AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari’. La lista di tutti gli aerei abbattuti dal ‘Barone′ è stata pubblicata nel 1958 a cura della Raf: in totale sono 80 (di cui 73 inglesi); secondo altre stime, potrebbero essere cento o anche di più. Roy Brown ebbe un incidente aereo il 15 Luglio 1918 e rimase cinque mesi in ospedale. Nel 1919 lasciò la Raf, tornò in Canada trovando poi un lavoro da contabile; in seguito fondò una piccola compagnia aerea. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale provò ad arruolarsi nella RCAF, ma fu respinto; si buttò in politica e partecipò alle legislative 1943 dell'Ontario, ma non venne eletto. Infine volle acquistare una fattoria abbandonata vicino Stouffville; il 9 Marzo 1944 ebbe un infarto e morì: Arthur Roy Brown aveva 50 anni. Finita la ‘Grande guerra’ l'autorità militari francesi crearono un cimitero militare a Fricourt, sulla Somme; la salma di von Richthofen vi fu trasferito nel 1919. Il fratello più giovane Bolko decise che dovesse stare accanto alle tombe del padre e del fratello Lothar (rimasto ucciso in un incidente aereo nel 1922). Così il 16 Novembre 1925 le spoglie del ‘Barone′ attraversarono il Reno a Kehl proprio sul confine franco-tedesco; lì sulla riva destra del fiume si raccolse una grande folla. Il governo tedesco ottenne dalla famiglia di farlo seppellire nell'Invalidenfriedhof di Berlino dove ci sono i più grandi eroi tedeschi. Wilfrid Reid ‘Wop′ May sopravvisse alla Prima guerra mondiale e partecipò anche alla Seconda come addestratore di piloti della Raf; morì appena 56enne il 21 Giugno 1952 per un ictus mentre faceva una scampagnata con suo figlio nella Timpanogos Cave. Dall'Agosto 1961 l'area dell'Invalidenfriedhof si trovò nelle vicinanze del famigerato ‘Muro’. Nel 1975 la famiglia Richthofen chiese ed ottenne la traslazione delle spoglie nel cimitero di Wiesbaden dove ci sono le tombe dei familiari. Nel 2002 un documentario prodotto da Discovery Channel suggerì che il mitragliere australiano William John ‘Snowy′ Evans avesse sparato dalla sua mitragliatrice Lewis il colpo fatale in quel 21.04.1918. Il veterano Edward Smout nel 1998 ricevette la più alta onorificenza francese: “Cavaliere della Legione d'onore”; ebbe anche la medaglia dell'Ordine dell'Australia. Finché gli fu possibile partecipò alle manifestazioni dell'ANZAC day (25 Aprile); Edward David ‘Ted′ Smout si spense il 22 Giugno 2004 all'età di 106 anni.MAGGIO
« Li firmo io.
»ai due sostituti procuratori che non volevano firmare
55 ordini di cattura; procura di Palermo, 09.05.1980
GAETANO COSTA
{sposato con Rita, due figli} rocuratore capo della Repubblica di Palermo {dal 10.07.1978}A. Caltanissetta, 29.02.1916
Ω. Palermo
¦marciapiede in via Cavour¦, 06.08.1980 {dichiarato morto alle 20:11 dopo il ricovero al Civico}tre proiettili ad espansione calibro 38 sparati alle 19:23 da un revolver Smith & Wesson
dissanguamento da ferite al torace e alla faccia (definite poi dall'autopsia come “non mortali”
Gaetano Costa da ragazzo aderì al Partito comunista clandestino dove conobbe Rita Bartoli, che poi sposerà. Dopo essersi laureato in giurisprudenza vinse un concorso in magistratura ed iniziò la sua carriera a Roma. Allo scoppio del conflitto mondiale si arruolò nell'Aviazione e come ufficiale ottenne due croci di guerra; l'8 Settembre 1943 scelse di aderire alla Resistenza e raggiunta la Val di Susa combatté con i partigiani. Tornato a Caltanissetta nel 1944 venne nominato sostituto procuratore e subito restituì la sua tessera al partito. Nel 1966 diventò procuratore capo nella sua città natale e come nei venti anni precedenti fu inflessibile nell'applicare la legge: fece compiere accertamenti nelle banche locali (anche alla Banca d'Italia!) e firmò gli arresti di clienti, banchieri e funzionari coinvolti nella nascente "collaborazione" fra la mafia (allora nemmeno contemplata dal Codice penale) e la pubblica amministrazione nella attribuzione degli appalti, le assunzioni del personale, quindi la gestione del bene pubblico in genere. Nel 1970 Costa partecipò al concorso per la promozione in Cassazione e lo vinse. Nel Gennaio 1978 il Csm decise un doppio avvicendamento in seno alla procura di Palermo: l'allora procuratore capo Giovanni Pizzillo sarebbe diventato procuratore generale, mentre Costa avrebbe preso il suo posto. A fine degli anni Settanta il quadro politico nazionale stava cambiando: il Pci aveva "appoggiato" il governo Andreotti III. In Sicilia Piersanti Mattarella era stato eletto presidente della Regione e guidava nell'Ars una coalizione di centrosinistra con l'appoggio esterno del Pci. Tornando a Costa, Pizzillo invece del consueto "possesso anticipato", cioè dare subito l'incarico al collega, ritardò l'avvicendamento. Addirittura nominò un procuratore aggiunto “facente funzione”! Questi telefonò a Costa e gli chiese di posticipare di un mese la sua immissione a ruolo, prevista per l'11 Giugno 1978; voleva completare l'anno di reggenza per concorrere ad un posto in Procura. Fatto sta che non parteciperà a nessun concorso del genere... Finalmente il 10 Luglio, dopo quasi sei mesi, Costa poté prendere possesso dell'incarico. Già durante la cerimonia d'insediamento disse che non avrebbe accettato spinte o pressioni, inoltre rammentò che se «la discussione [fra colleghi] fosse inquinata da rapporti di inimicizia, di interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fatalmente alla fine». La stagione dei faldoni che si accumulavano sulle scrivanie era finita: i sostituti procuratori avrebbero lavorato su poche indagini da condurre a processo. Il 25 Settembre 1979 il Consigliere istruttore della Corte d'appello di Palermo Cesare Terranova e l'agente di scorta Lenin Mancuso furono uccisi in un agguato di stampo mafioso. Terranova a Giugno aveva chiesto al Csm di tornare in ruolo dopo un doppio mandato parlamentare; aveva preso possesso dell'Ufficio istruzioni il 31 Agosto. Il Csm nominò al suo posto Rocco Chinnici, allora Consigliere istruttore presso il Tribunale; questi per Costa divenne più che un semplice collega, per poter parlare liberamente spesso i due andavano su e giù chiusi in ascensore... Infatti i rapporti fra il procuratore capo e gli aggiunti si limitavano ai solo saluto; con Pizzullo, già dai tempi di Caltanissetta, aveva avuto degli scontri. Il presidente della Regione Mattarella pose all'attenzione di Costa uno strano appalto-concorso per la costruzione di sette scuole a Palermo: altrettante ditte diverse avevano partecipato da sole ad ogni singola gara, ed avevano puntualmente vinto... Il 15 Ottobre 1979 Costa firmò l'apertura dell'indagini e così saltarono fuori i nomi di Rosario Spatola, Salvatore Inzerillo e dei Gambino. Inoltre la Guardia di Finanza ritrovò negli uffici dell'azienda di Spatola documenti del comune di Palermo che non dovevano esserci. Poco prima delle 13 del 6 Gennaio 1980 un sicario ferì a colpi di pistola Piersanti Mattarella mentre usciva in macchina dal garage di casa per andare con i familiari a messa. Il presidente regionale morì mezz'ora dopo all'ospedale “Villa Sofia” senza riprendere conoscenza [clicca qui]. Poco dopo mezzanotte del 4 Maggio 1980 Emanuele Basile, comandante della Compagnia dei CC di Monreale, fu ferito alle spalle da un sicario che gli sparò quattro colpi di pistola, di cui l'ultimo alla nuca. Il capitano dei carabinieri stava tornando con la famiglia all'alloggio di servizio della caserma in via Delero. Basile aveva partecipato ad un ricevimento per la festa del Santissimo Crocifisso che nella cittadina normanna si tengono dal 1 al 3 Maggio. Il killer sparò con i primi botti dei fuochi d'artificio; quasi sicuramente non si curò di Barbara, la piccola di quattro anni che dormiva con il capo reclinato sulla spalla del padre. Fu un vero miracolo che i proiettili non la colpirono. Il giovane capitano dell'Arma venne subito trasportato in un ospedale a Palermo, ma morì quattro ore dopo durante un disperato intervento chirurgico. Basile stava indagando sull'omicidio di Boris Giuliano; il commissario l'anno prima era arrivato alla scoperta di un traffico di stupefacenti fra la Sicilia e gli Stati Uniti, la cosiddetta ‘Pizza connection′. Basile doveva trasferirsi a San Benedetto del Tronto per comandare la Compagnia locale; ma prima aveva consegnato i risultati dell'indagine richiesta dal giudice istruttore Paolo Borsellino. Era il cosiddetto dossier “Rosario Spatola + 54”. Nella notte fra il 4 ed il 5 la squadra Mobile di Palermo con un blitz arrestò Spatola ed i capi mafiosi delle famiglie Gambino, Di Maggio, Inzerillo ¦fonte¦. P.S. dell'11.01.2012 oggi il pm Francesco del Bene all'apertura dell'udienza nel processo sull'omicidio Mauro Rostagno ha comunicato che il teste d'accusa Rosario Spatola non sarebbe potuto essere presente perchè deceduto ¦fonte¦. In seguito si è saputo che l'ex "soldato" di Cosa nostra era morto il 10 Agosto 2008 all'età di 59 anni nella sua città, Campobello di Mazara (Trapani). ◄ Tornando a quella notte del Maggio 1980, il questore Immordino diede a Costa il rapporto del capitano Basile. Lì c'era scritto chi in Sicilia deteneva il monopolio dell'eroina nel mondo. Una trentina delle persone citate nel rapporto erano già in carcere e per alcuni, fra cui Rosario Spatola, stavano per scadere i termini di custodia cautelare. Immordino fece arrestare le 55 persone
e chiese alla Procura della Repubblica di convalidare gli arresti. Costa che aveva già letto il rapporto convocò per il giorno 9 una riunione con tutti i sostituti procuratori. A suo dire, pur essendoci delle "lacune", bisognava firmare quegli arresti; i sostituti procuratori, tranne uno [Vincenzo Geraci], si dissociarono; fra di loro c'era un giovane magistrato di nome Pietro Grasso ¦fonte¦. In particolare, Giusto Sciacchitano rispose a Costa: «Allora se li firmi lei»! Non essendoci l'unanimità, fu il procuratore capo ad assumersi tutte le responsabilità: mise così la sua firma (insolitamente grande) sulla convalida di quegli arresti. Fuori dall'ufficio stavano in attesa giornalisti, avvocati e parenti degli indagati. Scicchitano, uscendo dall'ufficio fece capire che era stato il capo procuratore a firmare le convalide degli arresti. Immordino per motivi di sicurezza dispose che un'auto della Polizia seguisse quella blindata che ogni mattina portava Costa in Procura. Ma nel pomeriggio il magistrato andava a piedi al lavoro e quindi continuava rimaneva senza scorta! Comunque non gli dispiaceva: infatti poteva continuare con le sue consuete passeggiate pomeridiane. Il 30 Maggio Immordino andò in pensione e al suo posto venne nominato Giuseppe Ninolicchia. Così a capo della questura di Palermo s'insediò l'ex questore di Reggio Calabria. Il 14 Luglio Costa ordinò indagini riservatissime sugli intrecci economici, finanziari, bancari, societari dei gruppi mafiosi dominanti a Palermo (quindi i "soliti noti") ma anche sui "soci occulti". La mattina del primo giorno di ferie, il 6 Agosto, Costa la passò in Procura; il nuovo questore Ninolicchia per motivi di sicurezza aveva disposto che la Polizia avrebbe scortato la famiglia Costa fino a Milazzo; poi sarebbe stati consegnati ai carabinieri fino alla destinazione: l'isola di Vulcano. Il giudice tornò alla solita ora, pranzò e andò a riposarsi. La moglie Rita gli chiese se il Colonnello della Finanza gli avesse consegnato il rapporto, il marito rispose che <<l'avrebbe trovato al suo ritorno da Vulcano>>. Verso le 19 si vestì per la consueta passeggiata pomeridiana, magari avrebbe fatto scorta di libri per il mese di vacanze. Verso le 19:15 arrivò in una bancarella della vicina via Cavour e si mise a curiosare. Alle 19:23 un giovane fu visto scendere da una A112; in mano teneva un giornale, quando si avvicinò di spalle al magistrato tirò fuori una pistola e sparò tre colpi, di cui l'ultimo alla faccia. Costa stramazzò sul marciapiede, gli occhiali gli si frantumarono in terra; il sicario risalì sulla macchina che lo stava aspettando. Come succedeva nel capoluogo siciliano in quei tempi, intorno ad uomo agonizzante a terra si radunò presto una folla di curiosi; poco dopo arrivò una gazzella dei carabinieri. Ma chissà perchè il ferito non fu portato subito in ospedale; quando arrivò l'ambulanza, circa 20 minuti dopo il ferimento, Costa si era praticamente dissanguato. La morte venne costatata all'ospedale Civico alle 20:11. La successiva autopsia stabilì che nessuna delle tre ferite, pur inferte da proiettili ad espansione, era stata immediatamente mortale. Quindi con un soccorso più tempestivo sarebbe stato possibile salvargli la vita... L'A112 venne ritrovata bruciata in piazzetta Meli, dietro la chiesa di San Domenico. Il "funerale di Stato" si tenne nella Cattedrale il 7 Agosto, San Gaetano; il cardinale Pappalardo, essendo fuori Palermo, fu sostituito dal vescovo ausiliario. Fra gli assenti, spiccava il primo presidente della Corte d'appello in ferie a Montecatini Terme... Dalle successive indagini, emerse che il 2 Agosto era stato fermato sotto casa del giudice un certo Salvatore Inzerillo, cugino e omonimo del temibile ‘Totuccio′. Avendo una fedina penale immacolata fu subito rilasciato; comunque nove giorni dopo il 32enne si presentò spontaneamente in Procura accompagnato dall'avvocato Nino Filaccia, legale anche del boss latitante Riina. Il giovane venne sottoposto all'esame del guanto di paraffina, risultato negativo. Rita Bartoli nel Febbraio 1981 fu convinta a candidarsi all'Ars da Emanuele Macaluso, senatore e segretario Cgil per il Mezzogiorno. Il Pci stabilì che fosse candidata in due liste: a Palermo e Caltanissetta. L'elezioni si tennero il 21 Giugno 1981: il Pci prese 552.399 voti (20,7%) conquistando 20 seggi su 90; ovviamente vinse la Dc con 1.109.004 voti (41,1%) pari a 38 seggi. Rita Bartoli fu eletta sia a Palermo che Caltanissetta con 19.823 voti di preferenza su 90.688 di lista; come collegio d'elezione scelse quello di Palermo. Il 9 Luglio nella prima seduta dell'Assemblea furono proclamati gli eletti della IX legislatura. Giuseppe Nicolicchia si dimise da questore di Palermo nel Novembre 1981; a Marzo quando gli inquirenti fecero perquisire la residenza di Gelli a Castiglion Fibocchi trovarono il suo nome nella lista di funzionari pubblici, appartenenti alle forze dell'ordine, alti ufficiali delle forze armate che avevano aderito alla P2 ¦lista¦. Nella fattispecie la domanda di affiliazione di Nicolicchia era del 1974. Giovanni Pizzullo morì nel 1982; l'incarico di Costa lo continuò il suo compaesano ed amico Rocco Chinnici, poi ucciso da un'autobomba il 29.07.1983. I pentiti Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia chiarirono le modalità dell'omicidio Costa: l'ordine era venuto da ‘Totuccio’ Contorno come segno di sfida ai Corleonesi; voleva dimostrare che lui, ormai relegato nella cosiddetta "mafia perdente", aveva il potere di decidere un omicidio di un magistrato senza dover sottostare alla valutazione della Cupola (per altro asservita a Riina per mezzo del "burattino" Michele Greco). Il capo-mandamento della cosca di Passo di Rigano così pianificò l'omicidio: suo cugino fece da palo; suo fratello Francesco e Giovannello Greco ne furono gli esecutori (probabilmente sparò quest'ultimo). Nel Luglio 1984 l'allora latitante Salvatore Inzerillo fu colpito da ordine di cattura per l'omicidio Costa ¦fonte¦; l'omonimo boss non poté essere arrestato perchè ucciso a Palermo l'11.05.1981; Francesco ‘u tratturi’ Inzerillo e Giovannello Greco erano da tempo latitanti. Rita Bartoli si ricandidò — solo nel collegio di Caltanissetta — per le regionali del 1986. Il Pci prese 553.629 voti (19,3%) conquistando 19 seggi su 90; stavolta la Dc non "stravinse": 1.109.570 voti (38,8%) pari a 36 seggi. Rita Bartoli fu eletta con voti 8.889 di preferenza su 21.547 di lista (41,25%). Salvatore Inzerillo fu arrestato dall'Fbi il 23.02.1988 in una pizzeria di sua proprietà a Woodbridge in Virginia ¦fonte¦. Estradato nel Dicembre 1988, venne così processato ¦atti¦; la sentenza definitiva da parte della corte d'assise di Catania arrivò l'08.04.1991: ASSOLTO PER NON AVER COMMESSO IL FATTO ¦fonte¦. Nemmeno suo fratello Francesco e Giovannello Greco, ritornati dopo la loro latitanza rispettivamente in Usa e Spagna, hanno dovuto rispondere dell'omicidio che quindi resta senza colpevoli. Nel 2001 la Salvatore Sciascia Editore pubblicò il “Una storia vera a Palermo”. Rita Bartoli vedova Costa si è spenta a Palermo il 19 Gennaio 2003 all'età di 79 anni. Giusto Sciacchitano negli anni Novanta venne trasferito dal pool di Palermo al ministero degli Esteri; nel 1997 il Csm lo nominò sostituito procuratore alla Dnaa. L'08.11.2012 ottenne la nomina di procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto; con le dimissioni di Pietro Grasso, che si candidò all'elezioni, prese il suo posto al comando della Dnaa. Il 25 Luglio 2013 il Csm nominò nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo proprio Franco Roberti... Pietro Grasso venne eletto presidente del Senato il 16.03.2013 e ricoprì tale carica fino al 22.03.2018. All'elezioni si era presentato con LeU (da lui fondato nel Dicembre 2017) nel collegio uninominale di Palermo. Ottiene solo il 5%, ma viene comunque rieletto tramite la quota proporzionale e si iscrive al Gruppo Misto.« Vediamo a chi a toccherà la prossima volta... »
Circolo della stampa, dibattito sul segreto istruttorio; Milano, 27.05.1980
Walter BRIZIO MAURO PALMIRO tobagi
(
‘viperotto’ da vipero, cioè ‘‘direttore’’/‘‘capo’’){sposato con Maristella; Benedetta di 3 anni e Luca di 7}
giornalista, scrittore, presidente dell'Associazione lombarda dei giornalisti
A. San Brizio
¦casa natale¦ – Spoleto (Perugia), 18.03.1947
Ω. Milano
¦via Andrea Salaino¦, 28.05.1980 11:15agguato, colpi di pistola calibro 7,65 al cuore e alla testa Walter Tobagi durante il liceo, dal 1962 al '66, collaborò a La Zanzara (il giornale studentesco del “Parini”). Era stato il redattore anziano, l'allora giovane Vittorio Zucconi, ad invitarlo. Dopo la maturità s'iscrisse nel corso di Filosofia con indirizzo storico. Il suo esordio nella carta stampata fu per dei periodici. I suoi erano articoli di commento, pezzi di costume sul mondo del calcio. Nel 1968 entrò nell'Avanti!, organo ufficiale del Partito socialista italiano. Nel 1969 passò a Avvenire, fondato un anno prima sempre a Milano. Tobagi scriveva di tutto: università e protesta, cultura, sindacato, politica estera; però tratto in particola modo del terrorismo (strage di Piazza Fontana, morte di Giangiacomo Feltrinelli e assassinio del commissario Calabresi); naturalmente non trascurò le prime iniziative militari delle Br, le "cellule" scoperte a Milano, la guerriglia urbana organizzata e provocata dagli estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia. Oltre al lavoro di giornalista collaborava con l'Università Statale di Milano. Nell'Aprile 1970 superò l'esame di Stato da giornalista, nel 1971 si sposò con Maristella. Intanto aveva pubblicato saggi e articoli su riviste, il primo uscì nel Giugno 1970 (“Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in Italia”). Qualche anno dopo si laureò con un tesi su “I Sindacati in Italia nel secondo dopoguerra (1945-1950)”. Il 15 Luglio 1975 ricette il Premiolino come miglior giornalista del mese “per la coraggiosa, spregiudicata e documentata inchiesta sulla crisi e sugli scandali esistenti nella realtà politica e sociale lombarda, alla vigilia del voto del 15 giugno 1975”. Su segnalazione di Giorgio Santerini fu assunto al Corriere; la sua trafila iniziò il 18 Gennaio 1976. Tobagi seguì sistematicamente tutte le vicende dei cosiddetti anni di piombo e per questo entrò nel mirino... Infatti nel Febbraio 1978 le FCC progettarono di rapirlo per poi ottenere in cambio la pubblicazione di un loro comunicato sull'"azione" di Novara del 18 Gennaio. Allora alcuni di loro spararono alla camionetta dei carabinieri di guardia al carcere cittadino; solo i vetri antiproiettili avevano evitato una strage. Tornando alla pianificazione dell'assassinio, una ragazza milanese di buona famiglia, tale Caterina Rosenzweig, era stata "arruolata" perchè studentessa alla Statale nel corso dove Tobagi insegnava storia moderna. Inoltre era fidanzata con Marco Barbone, uno studente (anche lui di buona famiglia) che da tempo militava in AO. Il giovane aveva avuto un ruolo attivo negli scontri a fuoco di via De Amicis a Milano del 14 Maggio 1977 dove fu ucciso l'agente Antonio Custra. Per un certo periodo la studentessa pedinò il giornalista; poi accadde un imprevisto: la notte del 12 Marzo 1978 lei insieme ad una "compagna" diede fuoco ad un magazzino della “Bassani Ticino” di Venegono Inferiore (Varese). Nella concitazione perse il passaporto e così i poliziotti l'arrestarono per incendio doloso e associazione sovversiva. L'ennesimo indulto [vedi legge 30.08.1978 n. 415] permise di far cadere l'accuse più pesanti per la Rosenzweig. Intanto Corrado Alunni, fondatore delle FCC, convocò Marco Barbone e gli impose una scelta: lui scelse di stare con la sua ragazza, ormai bruciata. Il 14 Settembre 1978 Tobagi accettò la presidenza dell'Associazione lombarda dei giornalisti. Poi fondò insieme a quattordici colleghi Stampa Democratica, la corrente indipendente all'interno del sindacato di categoria. Intanto una scheda informativa su Tobagi fu trovata nella valigetta di un militante dei RCA. Uno dei più suoi celebri articoli (“Vivere e morire da giudice a Milano”), lo scrisse all'indomani dell'uccisione di Emilio Alessandrini. Tobagi si dedicò all'analisi di realtà urbane a Milano, Genova e Torino; inoltre studiò il fenomeno del pentitismo e la figura del terrorista in clandestinità. Nella primavera del 1979 ‘Guerriglia Rossa′, una nuova formazione estremistica di sinistra, compì azioni di sabotaggio ai danni della distribuzione dei grandi quotidiani. Il "leader" era proprio Marco Barbone, a lui si unirono altri due coetanei: Paolo Morandini e Daniele Laus. Con l'irruzione di via Fracchia a Genova nella notte del 28 Marzo 1980 fu smantellata la cellula genovese delle ‘Brigate′. Naturalmente Tobagi quella mattina era a Genova con un collega per scrivere un articolo (“Adesso si dissolve il mito della colonna imprendibile”). A Milano qualche mese dopo si formò un gruppo armato di estrema sinistra: la “Brigata XXVIII Marzo”, il cui nome evidentemente evocava l'irruzione di via Fracchia. La loro prima "azione" fu il 7 Maggio con la gambizzazione del cronista di Repubblica Guido Passalacqua davanti alla sua abitazione milanese. Nel successivo volantino di rivendicazione P. fu definito un <<giornalista riformista>>. La banda era già entrata "in competizione" con Prima Linea di Sergio Segio che il 19 Marzo aveva ucciso il giudice istruttore di Milano Guido Galli. Così i giovanissimi rampolli di Corrado Alunni decisero di alzare il tir, ripiegando sull'uccisione di un giornalista... La sera del 27 Maggio Walter Tobagi organizzò un dibattito al Circolo della stampa in corso Venezia a Milano. L'argomento della serata (“Fare cronaca tra libertà d'informazione e segreto istruttorio”) riguardava il caso Isman, un giornalista arrestato per aver pubblicato documenti secretati fornitigli da un ufficiale del Sismi. Il sindacato della carta stampata era diviso sullo sciopero a sostegno del collega e sui principi deontologici della professione. La discussione in sala si fece accesa, alcuni colleghi contestarono duramente le posizioni di Tobagi. Questi confidò ad un amico che c'erano più giovani del solito in sala... Nell'intervento conclusivo chiosò con una certa amarezza che <<ripetiamo sempre le stesse cose>> e <<vedremo a chi toccherà la prossima volta>>. Il convegno terminò verso mezzanotte; insieme all'amico Massimo Fini andò in una pizzeria. Alle 02:30 i due erano sotto casa del giornalista, prima di salutarsi parlarono per un'altra ora; ad un certo punto Walter disse all'amico: «Sai da un mese ho abbandonato le inchieste sul terrorismo e sulle Brigate Rosse. Non ho intenzione di farmi ammazzare da quelli là [la direzione e la proprietà del Corriere] ». I due si salutarono promettendosi di rivedersi al più presto. Alle otto di mercoledì 28 in via Solari davanti all'abitazione del giornalista c'era un uomo, Manfredi De Stefano. I suoi compiti erano quelli di osservare ogni movimento nella zona, verificare se Tobagi anticipava i suoi spostamenti mattutini, attendere gli altri cinque componenti del commando. Le auto per le vie di fuga erano già state parcheggiate nei punti concordati. Alle 09:45 nel piazzale davanti la stazione di Porta Genova si riunì l'intera Brigata: Marco Barbone (nome di battaglia ‘Enrico′) che nel giaccone aveva una calibro 9 corto con silenziatore montato ed una 38 special Smith & Wesson; Mario Marano (‘Fabio′) armato di una 7,65; Francesco Giordano con una 357 Magnum ed infine Daniele Laus (‘Gianni′) con i tasca una 38 special. L'unico disarmato era Paolo Morandini (‘Alberto′). Il gruppo si avvia così verso la casa del giornalista; il traffico in via Solari come sempre è caotico, piove forte e nessuno fa certo caso a quei ragazzi. Barbone e Marano sono all'edicola vicino all'abitazione di Tobagi; Morandini è in bicicletta nei pressi della fermata del tram, proprio di fronte al portone di casa. Giordano — con funzioni da "palo" — si trova pochi metri Barbone e Marano, sulla via Solari. Alle 11:10 Tobagi esce dall'abitazione con l'intenzione di raggiungere il garage “Il Parco” in via Valparaiso 7/A, salire sulla sua Ritmo e in mezz'ora essere in via Solferino. Il giornalista accenna ad attraversare la strada quasi per dirigersi verso l'edicola; i due s'allontanano per non dare nell'occhio. Il loro "obiettivo" non attraversa via Solari, ma devia a destra in via Andrea Salaino; si porta sul lato sinistro e percorre un breve tratto di strada. Dopo un iniziale momento di sbandamento Barbone e Marano con una corsetta recuperano la posizione e si trovano 4-5 metri dietro Tobagi. I due tirarono fuori le loro pistole; quando il giornalista è all'altezza di un ristorante al numero 12, Marano inizia a sparare correndo. L'uomo — che non si è accorto di nulla — fa due passi e poi cade sul marciapiede. Ecco la dinamica raccontata da Barbone: «Mentre Fabio, che aveva esploso tre colpi, tentò di sparare ancora ma la sua 7,65 si inceppò. Allora sparai due colpi con la mia nove corto: uno da distante (due, tre metri), l'altro mentre correndo gli passavo vicino mentre era già a terra e quando avevo ormai avuto la netta sensazione che fosse morto». Subito dopo, Daniele Laus — l'autista del commando — fa montare Barbone e Marano e Tobagi su una Peugeot 204 grigio metallizzata targata ‘MI 712617’ (rubata sei giorni prima in zona San Siro). Nella fuga l'auto tampona una 127 e naturalmente poi prosegue la sua corsa lungo un percorso stabilito: via Montevideo, via Dezza, via Cimarosa e via Monferrato angolo via De Castro. A due chilometri dal luogo dell'agguato, i terroristi abbandonano la vettura e si dileguano. Intanto Walter Tobagi è accasciato sul marciapiede di via Andrea Salaino; le gambe sono su una pozzanghera, l'ombrello è scivolato sul fianco, la penna stilografica Parker è caduta dal taschino, una macchia rossa di sangue si sta allargando sulla giacca marrone, un proiettile dalla nuca è uscito dal naso con un rivolo di sangue. Dall'autopsia risultò che il colpo fatale fu quello al cuore (sparato da Marano); Barbone gli diede sì il colpo di grazia dietro l'orecchio sinistro, ma a morte già avvenuta. Sul luogo accorsero la moglie Stella con la figlioletta Benedetta in braccio ed il padre Ulderico; la notizia fu diffusa dall'Ansa alle 11:46. Il figlio più grande Luca era a scuola, un parente lo portò a casa di amici. Secondo il rituale della "lotta armata" l'omicidio venne rivendicato con un volantino (sei cartelle dattiloscritte) da parte di una nuova sigla del terrorismo: la “Brigata XXVIII Marzo” per l'appunto. Tobagi fu definito “efficiente persecutore della classe operaia”; inoltre “nel Corriere, entratoci come uomo di Craxi, si è subito posto come caposcuola di questa tendenza <<intelligente>> degli apparati della controguerriglia psicologica … ”. Ai funerali celebrati dall'appena insediato cardinale Carlo Maria Martini parteciparono in decine di migliaia. L'indagini dei carabinieri e della magistratura portarono all'identificazione di tutte le persone coinvolte: i telefoni di Caterina Rosenzweig e dei suoi amici furono subito messi sotto controllo, inoltre il "pentito storico" Patrizio Peci diede importanti indicazioni. Marco Barbone, allora militare di leva, fu arrestato il 25 Settembre 1980 nella casa della fidanzata a Diano Marina. Ufficialmente doveva rispondere di una rapina ad una banca dove era stato "ritratto" dalle telecamere. Dopo i primi giorni in isolamento in camera di sicurezza chiese di incontrare il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il 4 Ottobre decise di collaborare e così gli altri cinque complici vennero arrestati smantellando così l'organizzazione terroristica. Il manoscritto del "volantino di rivendicazione" fu ritrovato dentro una valigia nel corso del blitz del 17 Marzo 1981 a villa Wanda, residenza di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi ¦fonte¦. Il dibattimento iniziò 1° Marzo 1983 al Palazzo di Giustizia milanese in un'aula bunker, appositamente progettata per i maxi-processi di terrorismo e inaugurata proprio in quell'occasione. Il padre di Tobagi, Ulberico, si costituì parte civile anche in rappresentanza dei nipoti e della nuora. L'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi aveva avuto dal ministro Lagorio una nota informativa dei carabinieri; questa era una copia dattiloscritta priva di sigla, redatta il 13.12.1979. Fatto sta che dal Marzo 1979 un "confidente" [nome in codice ‘Buca′] riferiva quello che sapeva per evitare l'arresto... Anni dopo si seppe che il confidente era Rocco Ricciardi, un giovane postino che frequentava i collettivi autonomi e poi aveva aderito all'avanguardia militarista di Alunni. Nella nota si segnalava l'eventualità di “un attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente del Corriere della Sera”. Per di più erano specificati i luoghi probabili (“piazza Napoli-piazza Amendola-via Solari dove il Tobagi dovrebbe abitare”), i possibili autori (“giovani desiderosi di entrare nelle Br "allo squillar delle fanfare"”) ed il loro capo, Marco Barbone per l'appunto. L'informativa di ‘Ciondolo′, nome di copertura dell'ufficiale dei carabinieri, finì nel dimenticatoio per vari motivi: in primis perchè il suo superiore di riferimento, il capitano Roberto Arlati (l'uomo del blitz nel covo di via Montenevoso), lasciò l'Arma e così nessuno volle ascoltarlo. Questi ripresentò la segnalazione ai suo diretti superiori, gli ufficiali Alessandro Ruffino e Umberto Bonaventura; poco dopo fu allontanato dal nucleo Antiterrorismo e trasferito al servizio intercettazioni telefoniche. Dario Cavolo poi dichiarerà al processo: «Ebbi una discussione con Ruffino … gli dissi che gli avevo dato i nomi in anticipo e che non aveva fatto nulla per salvare il giornalista». Fatto sta che l'ufficiale fu infine spedito in una sperduta stazioncina ai confini con la Svizzera... Anni dopo l'ex sottoufficiale dei carabinieri Dario Covolo, nome in codice ‘Ciondolo′, rilasciò un'intervista al giornalista Renzo Magosso per Gente del 17.06.2004. I due furono querelati per diffamazione dal generale dei carabinieri in pensione Alessandro Ruffino e dalla sorella del generale Umberto Bonaventura da tempo deceduto. Nel corso del processo, Covolo ribadì la sua versione dei fatti e confermò la correttezza delle frasi, virgolettate, a lui attribuite nell'articolo dell'intervista. Quella sua informativa era stata frutto delle dritte di un militante dei gruppi armati che collaborava da diverso tempo. Il processo terminò dopo 102 udienze il successivo 1° Novembre 1983; prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio Barbone chiese perdono ai figli di Tobagi. Le sentenze arrivarono dopo 28 giorni: Marano (20 anni e quattro mesi), De Stefano (28 anni e 8 mesi), Giordano (30 anni e 8 mesi), Laus (27 anni e 8 mesi); invece per Marco Barbone, Mario Ferrandi, Umberto Mazzola, Paolo Morandini, Pio Pugliese e Rocco Ricciardi 8 anni e 6 mesi con “il beneficio della libertà provvisoria ordinandone l'immediata scarcerazione se non detenuti per altra causa”. Caterina Rosenzweig fu assolta per insufficienza di prove. Barbone ed altri collaborando con la giustizia poterono usufruire dei benefici previsti dalla ‘legge sui pentiti’, la n. 204 del 29.05.1982. Il loro contributo fu valutato di <<eccezionale rilevanza>>. Solo quando la giuria aveva già deliberato Craxi e l'Avanti! denunciarono che la nota proveniva da un confidente (Rocco Ricciardi) <<che aveva detto tutto>>. L'allora ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro il 19 Dicembre 1983 confermò l'esistenza di una nota <<redatta da un sottufficiale dell'Arma il 13 dicembre 1979>> e che il "confidente" si chiamava Rocco Ricciardi. Anni dopo per quel reato di diffusione di documenti riservati fu emessa una sentenza di non luogo a procedere. L'appello del processo per l'omicidio di Tobagi si svolse nel 1985; nella deposizione-monologo di Marco Barbone del 30 Maggio l'ex brigatista ribadì che non ci furono né mandanti, né suggeritori. Il 7 Ottobre venne emessa la sentenza: le pene di Barbone e Morandini furono confermate; invece quelle di Giordano (21 anni), Laus (16 anni) e Marano (12 anni) subirono delle riduzioni rispetto al primo grado. Giordano fu l'unico a non "pentirsi" e pur manifestando segni di autocritica ha evitato di collaborare e quindi di ottenere i benefici di legge. Manfredi De Stefano era uscito dal processo perchè morì il 6 Aprile 1984 a causa di un malore che lo colpì nel carcere di Udine nel quale era detenuto dal 1981. Sulla sua morte a fine 2009 sono sorti alcuni dubbi ¦fonte¦. Il 18 Dicembre 1985 Daniele Laus fu scarcerato poichè erano decorsi i termini di carcerazione preventiva. La Corte d'assise d'appello aveva accolto un'istanza presentata il 4 Dicembre dai suoi difensori. Infatti dopo l'arresto, nell'Ottobre 1980, l'allora 22enne fece alcune ammissioni sulla propria attività nella “Brigata XXVIII Marzo”; poi improvvisamente ritrattò e chiese di essere reinserito nel circuito carcerario fra cosiddetti "irriducibili". Dopo la sentenza di primo grado modificò nuovamente il suo atteggiamento, dissociandosi e ammettendo il suo ruolo nell'omicidio Tobagi. In appello ottenne una riduzione a 16 anni grazie alla ‘legge Cossiga’ [la n. 15 del 06.02.1980] e alle attenuanti generiche. Laus poté richiedere di essere rimesso in libertà "in virtù" di un'altra legge: la n. 398/'84. Infatti questa prevede la scarcerazione per chi: 1) ha usufruito dell'articolo 4 in qualità di dissociato; 2) ha avuto una condanna inferiore ai vent'anni; 3) ha scontato almeno quattro anni in custodia cautelare. Mario Marano lasciò il carcere di Bergamo il 14 Gennaio 1986 poichè erano decorsi i termini di carcerazione preventiva per il processo alle UCC nel quale era stato condannato a undici anni; quindi anche lui usufruì della legge 398/'84. Attualmente conduce una vita ritirata a Milano. Tutte le condanne furono confermate in Cassazione nell'Ottobre 1986; in particolare Barbone e Morandini ebbero piccoli sconti aggiuntivi e così ottennero la libertà condizionale senza dover più rientrare in carcere. Nel Dicembre 1986 venne aperta la prima indagine sul tentato sequestro del giornalista; a richiederla furono Ulberico Tobagi e il presidente dell'Associazione stampa lombarda, Giorgio Santerini. Il 5 Gennaio 1987 i giudici istruttori Maurizio Grigo e Guido Salvini inviarono a Caterina Rosenzweig una comunicazione giudiziaria che ipotizzava il concorso nel tentativo di sequestro del giornalista. Qualche tempo dopo la donna sparì; probabilmente è in Brasile dove il padre ha/aveva importanti interessi economici. Il 24 Ottobre 1989 i giudici Guido Salvini e Maurizio Grigo chiusero l'istruttoria con l'archiviazione. La Procura della Repubblica fece ricorso e affidò un supplemento di istruttoria al giudice Paolo Goggioli. Il 5 Giugno 1990 Barbone, la Rosenzweig, Corrado Alunni e altri furono rinviati a giudizio per il tentato sequestro; invece Rocco Ricciardi venne prosciolto grazie alla sopraggiunta prescrizione del reato. Il 21 Maggio 1993 la prima sezione del Tribunale di Milano assolse Barbone, la sua ex ragazza e altri complici dall'accusa di tentato sequestro di Tobagi “perchè il fatto non sussiste”. Il 28 Maggio 2005 per iniziativa dell'amministrazione comunale di Milano e dell'ALG è stata posta una targa via in Salaino per ricordare il giornalista. Marco Barbone ha cambiato il cognome con quello madre, si è sposato avendo dei figli. Convertitosi al cattolicesimo, ha aderito a CL; dalla fine degli anni Novanta collabora con il settimanale Tempi ed è responsabile della comunicazione nella CdO. Francesco Giordano si fece tutta la pena in galera; dopo la scarcerazione trovò lavoro nel sociale. Poi ha messo su famiglia e nel 1993 chiese, ed ottenne, un incontro con la famiglia Tobagi. Benedetta nel Novembre 2009 ha pubblicato per Einaudi “Come mi batte forte il tuo cuore - Storia di mio padre”; laureata in filosofia è una storica e ricercatrice. Dal Maggio 2010 tutti gli articoli scritti da Walter Tobagi dal 1965 al 1980 sono consultabili sul sito dell'Ordine dei giornalisti - Lombardia a questo link.
GIUGNO
« Guar [silenzio improvviso]
»l'ultima parola registrata dalla "scatola nera"
DOMENICO GATTI
pilota di velivoli civili e militari {sposato con due figli}
A. Leta – Ajaccio (Corsica), 1936
Ω. mar Tirreno
¦39°43’ nord 12°55’ est¦ [spazio aereo italiano], 27.06.1980 20:59traumatismi da improvvisa decrompressione
Alle 20:08 del 27 Giugno 1980 un I-TIGI Dc-9 della compagnia Itavia decolla dall'aeroporto “Marconi” di Bologna con destinazione Palermo. Il volo “Itavia IH-870” doveva decollare alle 18:15, ma un ritardo di 94’ nell'arrivo a Borgo Panigale fece posticipare il decollo alle 20:08. Quell'aereo è stato controllato dai tecnici di Lamezia Terme nella prima mattinata; fino alle 19:03 quando atterrò a Bologna aveva volato su e giù per l'Italia fra Roma, Lamezia, Palermo. Il comandante Spinelli che l'ha portato a Bologna non ebbe niente da segnalare, nemmeno vibrazioni. Costruito e progettato nel 1966 dalla società americana “Mc Donnel Douglas Co.”, l'aereo venne immatricolato in Italia nel Marzo 1972 con il certificato RAI n. 6034.; mentre il certificato di navigabilità, sempre RAI, è il n. 8697/a con scadenza 05.10.1980. Ma tornando a quel 27 Giugno, alle 19:23 l'ultimo bagaglio viene montato sul carrello; alle 19:33 dopo una pulizia e sistemazione a bordo è pronto. Alle 19:55 le porte si chiudono: 77 passeggeri ¦lista¦, 63 adulti, 14 minori (di cui due sotto l'anno di vita), quattro membri dell'equipaggio sono ai loro posti. Alle 20:02 inizia a rullare, sei minuti dopo decolla con destinazione Punta Raisi alle 21:13. L'aerovia è l'′Ambra 14′, una specie di autostrada dell'aria larga una ventina di km e segnalata dagli impulsi dei radiofari. Alle 20:21 si collega via radio sui 124,2 MHz al radar di Roma Ciampino; questi chiede di inserire il nominativo radio 1136 sul trasponder ed poi dà l'autorizzazione a procedere sulla tratta Bolsena-Puma-Latina-Ponza (aerovia ‘Ambra 13′). Ogni sei secondi, il tempo che ci mette a ruotare l'antenna del radar di Ciampino, il "numero di targa" 1136 appare come punto luminoso [in gergo plot] sullo schermo planimetrico fluorescente. Alle 20:26 il radar di Ciampino e un altro della difesa aerea nei pressi di Ferrara chiesero al Dc9 Itavia di identificarsi: il segnale secondo le torri appare confuso con le tracce poco chiare. La richiesta è ripetuta alle 20:30 accompagnata dalla proposta di riattivare il trasponder; il capitano Gatti precisa che <<non ci siamo mai mossi>>. Alle
20:44 il bimotore è sopra il lago di Bolsena, proprio dove dovrebbe essere; il comandante dice alla torre di controllo: «Abbiamo trovato un cimitero stasera venendo... da Firenze in poi praticamente non ne abbiamo trovata una funzionante [radiofaro]». Alle 20:56 è a 43 miglia nautiche a sud di Ponza, il cosiddetto punto ‘Alpha′ (limite della portata del controllo aereo di Ciampino). Alle 20:57 viene autorizzata la discesa verso Punta Raisi, all'atterraggio mancano 25’; l'aereo vola a 7600 metri di quota e viaggia a circa 800 km/h, 13 km al minuto. Alle 20:58 la torre di controllo dell'aeroporto palermitano comunicò all'equipaggio le condizioni del vento, la pista, il Cavok (visibilità ottimale con nessun fenomeno atmosferico) e la temperatura. Gatti rispose con la sua ultima posizione: 94 miglia a nord di Palermo e 80 a sud di Ponza, il cosiddetto punto ‘Condor′, proprio al centro dell'aerovia Ambra 13′. Esattamente alle 20:58:00 una traccia più piccola appare circa 20 km ad ovest del Dc-9; alle 20:58:06 questi è avanzato di 1300 metri sul plotter ma l'altra traccia si è affievolita ed il radar non l'ha rilevata. Alle 20:58:39 questa riappare e si trova a circa 16 km dal Dc-9 e sembra percorrere una rotta leggermente convergente, la sua velocità apparente (calcolata in base alla distanza percorsa nell'intervallo di tempo dei due rilevamenti) è di 4209 nodi, pari a 778,344 km/h. Questa traccia è sempre debole e dato che i radar dei controllori del traffico aereo non dispongono dell'elemento esploratore sul piano verticale — a differenza di quelli della Difesa aerea — risulta impossibile determinare la quota. Alle 20:59:45 il blip corrispondente al volo IH 870 viene rilevato dal raggio esploratore; successivamente e all'improvviso scompare: non c'è neppure il simbolo sintetico della decodifica del trasponder, rimane solo un'indistinta nebulosità che ai passaggi successivi del raggio esploratore sembra illuminarsi di un chiarore diffuso verso est. Infine del Dc-9 con 81 persone a bordo non vi è più alcuna traccia. Alle 20:59:57 la traccia dell'"aeromobile fantasma" viene nuovamente battuta dal radar; la sua distanza dall'ultima posizione del Dc-9 è di circa 6 km. Alle 21:00:15 il blip dell'"intruso" viene rilevato per l'ultima volta: il computer del sistema radar di Roma Ciampino non registra più nulla [vedi gif dei tracciati negli ultimi minuti di volo del Dc-9] Alle 21:04:28 l'operatore radar del traffico aereo di Roma Ciampino chiama il volo IH870 autorizzando la discesa a FL110 (11mila piedi). Non avendo avuto risposta alle sue ripetute chiamate chiese ad altri aerei in zona di chiamare l'I-Tigi; ma questi non rispose. Intanto i due velivoli, frettolosamente assegnati come friendly perchè ritenuti aerei da trasporto dell'Air Malta, continuarono la loro rotta fino a scomparire dai radar... Alle 21:06 iniziano le azioni di ricerca e soccorso per aeromobili; questi era precipitato in mare nell'aerovia ‘Ambra 13′ dopo il punto Alpha, fra l'isola di Ponza e quella di Ustica. Il radar militare di Marsala lo cerca alle 21:09 e 21:14 senza ottenere nulla. Alle 21:16 Marsala chiama il comando di Martina Franca, che fa da coordinamento tra i vari radar, e questi chiama il radar di Licola, vicino Napoli, senza ottenere nulla. Alle 21:20 Roma Controllo comunica a Marsala i dati di volo del Dc-9 Itavia e la posizione del suo ultimo contatto radio. Alle 21:25 il centro di controllo di Martina Franca inizia le procedure di soccorso e viene allertato il Quindicesimo stormo di Ciampino. Intanto un aereo non identificabile — perchè ha spento il proprio trasponder — sorvola l'area dello schianto sul Tirreno; lo farà fino alle 22 e non sarà mai oggetto di successive verifiche come se non esistesse. Ai familiari che aspettano a Punta Raisi viene riferito che l'aereo è <<dato per disperso>>; comunque si succedono delle voci di un presunto dirottamento. Alle 21:55 dall'aeroporto romano decolla un elicottero della Marina militare che alle 23:15 è sul posto ed inizia le ricerche, ma con esito negativo. Per motivi non chiari le coordinate fornite sono sbagliate di ben 50 km (il tratto di mare adiacente l'isola di Ustica invece che a sud del punto ‘Alpha′ e quindi dell'isola di Ponza)! Alle 22:25 decolla da Catania un altro elicottero che alle 23:59 è sull'area dell'incidente; ma anche questi non trova nulla. Nel frattempo un Atlantic che era in missione d'addestramento ad est della Sicilia viene dirottato sul luogo, ci arriva verso le 23:45 e ci rimane quattro ore senza trovare alcunché. Solo alle 05:05 del 28 Giugno un elicottero partito da Catania segnala alcuni detriti ed una macchia scura oleosa in posizione 39,49° nord-12,55°est. Dovendo rientrare per termine dell'autonomia chiama sul posto un Atlantic, decollato alle 1 da Elmas. Questi alle 05:28 conferma la presenza della macchia oleosa e dei detriti in affioramento; alle 07:30 affiorano in mare cuscini, sedili, salvagente sgonfi. Infine verso le 9 ecco il primo cadavere ripreso dalle telecamere a bordo di un aereo; un gruppo più consistente è individuato dall'incrociatore Andrea Doria verso le 11 alle coordinate 39,40°nord e 13,03°est. Alle 12 le salme sono otto, alle 13:20 diventano dodici, alle 14 salgano a 33, alle 17 arrivano a 35 ed infine si fermano a 39. Comunque ci sono resti umani che appartengono a corpi non identificati per un totale di 43. A questa pagina si può vedere la lista delle 81 vittime con la loro età, invece a questa ecco la loro professione e motivi di viaggio. Solo molti anni dopo si scoprì che la mattina del 28 il generale Giuseppe Santovito, capo del controspionaggio italiano, spedì un fonogramma — classificato come <<URGENTE>> — al suo "collega" francese: chiedeva informazioni e spiegazioni su quanto poteva essere accaduto la sera prima; ufficialmente non ci fu mai risposta. Intanto alle 14:10 alla redazione romana del Corriere della Sera giunse una telefonata anonima: «Qui Nar. Vi informiamo che sull'aereo caduto sulla rotta Bologna-Palermo viaggiava la camerata Marco Affatigato. Era sotto falso nome. Doveva compiere un'azione a Palermo … ». La voce aggiunse che portava con sé una bomba e per riconoscerlo dovevano cercare un particolare orologio al suo polso. Gli interrogativi sull'attendibilità di questa telefonata dura solo alcune ore poiché lo stesso Affatigato si fece vivo per riassicurare la famiglia. La Digos di Bologna escluse la presenza del fascista all'aeroporto “Marconi”; inoltre fu ribadito che tutti i colli e i bagagli, prima di essere imbarcati a bordo, erano stati accuratamente controllati. Inoltre nessuno poteva manipolare le merci poiché erano già state preparate e consegnate come se dovevano partire secondo l'orario stabilito (le 18:15). Gli attentatori avrebbero dovuto sapere non l'ora del volo, ma il momento esatto in cui il velivolo si fosse trovato in aria... Intanto a largo di Ustica dal mare affioravano dei relitti, di cui viene fatto un preciso inventario nemmeno quando furono portati all'aeroporto di Boccadifalco. Nei giorni successivi ne furono recuperati alcuni che sicuramente non appartenevano al Dc-9: due salvagente di tipo marino e un sonda meteorologica con antenna ad ombrello, due contenitori tubolari in materiale fibroso per boe sonore. L'ultimo corpo fu rinvenuto dalla Andrea Doria alle 18:15 in posizione 39,43 nord e 13,07 est. Le trentanove salme (38 intere più un troncone del corpo riconosciuto dai familiari) furono prima portate a Napoli e poi Palermo per l'autopsia. Il collegio peritale nominato dalla Procura sottopose tutti i cadaveri ad ispezione esterna; inoltre decise di procedere ad autopsia per sette: cinque a scelta, il sesto cadavere era l'unico membro dell'equipaggio (l'hostess) e il settimo uno dei bambini (in modo da accertare eventuali differenze delle lesioni interne rispetto ai cadaveri degli adulti). L'autopsie furono eseguite presso l'Istituto di medicina legale dell'Università di Palermo e vennero integrate dagli esami istologici e prelevamento di sangue e di parti polmonari. Il collegio ritenne che “le sette persone sottoposte … identico meccanismo lesivo iniziale che aveva provocato l'espansione enfisematosa acuta dei polmoni. Queste alterazioni dovevano stimarsi compatibili con l'ipotesi di una decompressione brusca nell'ambiente pressurizzato del velivolo in volo ad alta quota e forte velocità”. Praticamente era l'effetto del "colpo d'ariete" prodotto dalla penetrazione violenta dell'aria esterna rarefatta nelle vie aeree e nei polmoni. Inoltre furono riscontrati <<grandi traumatismi>> da caduta a livello scheletrico e viscerale; quindi l'aereo si era aperto in volo e così la depressurizzazione (<<molto rapida>> a detta del collegio) aveva fatto perdere la coscienza senza causare direttamente il decesso. Questi era sopraggiunto per <<fatali traumi, riconducibili, assieme alla presenza di schegge e piccole parti metalliche in alcuni dei corpi, a reiterati urti con la struttura dell'aereo in caduta>>. Nessuno dei sette era annegato, non c'erano tracce di bruciature e vista l'assenza di ossido di carbonio e di acido cianidrico nel sangue e nei polmoni dei cadaveri era da <<escludere che nell'abitacolo dell'aereo si sia sviluppato un incendio con produzione di gas tossici>>. I lavori dei medici legali si svolse in condizioni difficili sia perchè i locali delle sale autoptiche erano in ristrutturazione, inoltre c'erano solo quattro celle frigorifere e principalmente perchè all'esterno si accalcavano centinaia di persone che premevano per la restituzione delle salme. Così fiorirono una serie di ricostruzioni di fantasia quali cadaveri con lacci emostatici, corpi aggrovigliati, sopravvissuti per ore all'impatto dell'aereo sulla superficie del mare, persone che nuotavano accanto alla fusoliera galleggiante [!] ecc. ecc. Lo stesso 28 Giugno il ministro dei Trasporti Rino Formica nominò una commissione tecnica d'inchiesta e ne affidò la presidenza all'ingegnere Carlo Luzzatti, direttore dell'aeroporto di Alghero. Dato che in base al codice di navigazione la competenza era dei magistrati della località in cui l'aereo era stato immatricolato, l'inchiesta sulla sciagura venne affidata al sostituto procuratore di Roma Giorgio Santacroce. Anche l'Italvia volle la sua commissione d'inchiesta, presieduta dal comandante Adriano Chiapelli. La magistratura chiese la consegna dei dati forniti dai radar di Ciampino, Licola e Marsala. Quello napoletano di Licola era manuale e quindi non poteva registrare i plot, comunque l'operatore poteva fare delle annotazioni su un apposito registro. L'Aeronautica militare rispose che nessuno aveva notato niente di insolito quella sera di Giugno; inesplicabilmente il registro DA1 era però scomparso. Il radar di Marsala era sì automatico, ma dopo l'incidente venne spento! Sembra che fosse in corso un'esercitazione che prevedeva lo spegnimento del computer per una simulazione virtuale. Nel momento del disastro fu tolto il nastro con la simulazione e riacceso il computer, questa operazione richiedeva di regola quattro minuti; ma quella sera, ufficialmente per motivi tecnici, ce ne vollero undici per mettere il nastro e ventotto per toglierlo! I magistrati richiesero i nastri dei dati il 14 Luglio e l'ottennero solo il 3 Ottobre; comunque su questi non c'era niente di strano. Già qualche ora dopo la tragedia si parlò di un missile: lo dicono i militari nei comandi radar, lo dicono i dipendenti dell'aeroporto ai famigliari in attesa, lo dicono alcuni controllori ai giornalisti, lo dice il generale Rana (che dirige il RAI) al ministro Formica. Qualcuno specifica pure il tipo: "francese" o forse "americano"; quella sera c'era un'esercitazione fra l'isole di Ustica e Ponza che è noto essere una specie di "triangolo maledetto" dove gli aerei fanno un po' quello che gli pare visto che ci sono zone e corridoi "ciechi" (cioè non coperti dai radar). La magistratura chiese all'autorità competenti una mappa del medio e basso Tirreno con la dislocazione delle navi italiane e straniere che si trovavano in quelle zone la sera fatale. Saltò fuori che la Sesta flotta americana era di casa nella zona, in particolare la portaerei Saratoga era ormeggiata a Napoli ma di più non si poté sapere. Sicuramente i radar della Sesta flotta registrarono qualcosa ma non potendo conservare tutto era regola che cancellassero i nastri dopo alcune settimane... Intanto il sostituto procuratore Santacroce insieme ad alcuni tecnici della Commissione Luzzatti portò i nastri radar di Ciampino a Washington dove degli esperti possono decifrarli con cura. Secondo l'ingegnere Macidul un aereo non identificato avrebbe eseguito il Dc-9, poi improvvisamente avrebbe fatto una virata per attraversare in velocità la rotta dell'I-TIGI dopo che questi era già scomparso dal radar: una classica procedura d'attacco di un caccia militare. Ma gli esperti dell'Aeronautica ribatterono che era un falso eco: il radar funzionando male faceva plot inesistenti. Inoltre ribadirono che in quella zona non c'era nessuna esercitazione militare in corso; anzi nel raggio di 50 miglia da dove è caduto il Dc-9 non c'era nessuna attività aerea! Verso mezzogiorno del 18 Luglio una telefonata avvertì i carabinieri di Castelsilano (Crotone): tra due grossi costoni dell'altopiano della Sila, nella provincia di Catanzaro, c'erano i resti di un aereo. Due basi militari particolarmente sorvegliate erano nelle vicinanze e così per cinque chilometri intorno a quel luogo nessun civile poté metterci piede. A 20 metri dalla carcassa di un Mig-23 di nazionalità libica c'era un uomo steso bocconi vestito da pilota; sul caso aveva una scritta in arabo [traslitterata in caratteri latino come ‘Ezzeedan Koal’]. Non era il suo nome e nessuno ha ancora capito il suo reale significato. Intanto il ministero della Difesa pressato dall'opinione pubblica emise un comunicato ufficiale dove si riferiva che era stata ritrovata <<la carcassa di un Mig 23 monoposto di fabbricazione sovietica, sprovvisto di armamento e serbatoi supplementari, in dotazione alle forze libiche>>. Inoltre <<Nella cabina è stato rinvenuto il cadavere di un pilota, di carnagione scura e dell'apparente età di trent'anni>>. Il governo libico tramite l'agenzia di stampa ufficiale “Jana” rispose con un comunicato ufficiale: “Il nostro pilota era in volo di addestramento e a causa di un improvviso collasso ha perso il controllo dell'aereo, precipitando”. Il luogo dove era caduto era all'incrocio di ben quattro aerovie militari riservate; curiosamente una di queste, la “Delta Wisky 12”, s'incrociava con la “Ambra 13” proprio nel punto ‘Condor′... Il medico che per primo vide il cadavere fece risalire la morte alle 11:30 dello stesso giorno; ma le sue condizioni erano così orribili, anche per l'avanzato stato di decomposizione, che ne consigliò l'immediata sepoltura. La "scatola nera" fu dichiarata difettosa e quindi inutilizzabile; qualche giorno dopo la procura di Roma dispose l'esumazione della salma sepolta in una tomba anonima nel piccolo cimitero di Castelsilano. L'autopsia si svolse il 23 Luglio e fu affidata ai professori Erasmo Rondanelli, primario di anatomia patologica e Anselmo Zurlo, primario cardiologo, entrambi dell'ospedale civile di Crotone; due veri specialisti, di grande esperienza e nome. Il risultato fu davvero sensazionale: la morte risaliva ad almeno 20 giorni prima! Sulla relazione scrissero <<avanzatissimo stato di decomposizione>>, addirittura <<in fase di colliquazione>>, stadio successivo alla putrefazione che per l'appunto inizia 15-20 giorni dopo la morte. Il 30 Luglio il corpo della vittima e resti del velivolo furono restituiti a tre esperti del governo libico. Il 31 Luglio la procura di Crotone archiviò l'inchiesta. Solo una contadina della zona riferì di aver udito uno scoppio il 18 Luglio senza però vedere il caccia schiantarsi sul costone della montagna. Invece altri sette parlarono di un <<aereo da guerra>> avvistato nella zona la sera del 27 Giugno! In particolare l'avvocato di Catanzaro, Enrico Brogneri (fra l'altro autore di un libro sulla strage di Ustica), dichiarò che quella fatidica sera un caccia sfrecciò a bassissima quota, quasi sfiorando le case, sul cielo di Catanzaro. Angelo Moffini, un fotocompositore di Landriano (Pavia) in vacanza in roulotte con famiglia a Praia a Mare (Cosenza), la sera del 27 Giugno vide un velivolo: «Era come un grande sigaro. Non emanava fumo. Non faceva rumore. Sì, sì era più veloce di un normale aereo. Non aveva alcun colore particolare. Era metallizzato. E poi è scomparso dopo tre quattro minuti». Un ginecologo di Castrolibero (Cosenza), un funzionario statale e un tecnico di una radio cosentina confermarono successivamente al giudice istruttore che la sera del 27 Giugno videro un aereo, che procedeva a bassa quota e senza luci di posizione a ridosso della Sila, "tallonato" da due caccia. Inoltre un caporale dell'esercito, in servizio a Cosenza, dichiarò agli inquirenti di aver piantonato, insieme con altri commilitoni, la carcassa dell'aereo libico e il cadavere del pilota in un periodo antecedente il 18 Luglio. Il militare fece intendere che forse facevano la guardia ai resti del velivolo già dal 28 Giugno! Nessuno indagò a partire da questa importante testimonianza ed inoltre come fece il Mig libico ad arrivare in Calabria dalla Libia (circa 800 km) se non aveva carburante a sufficienza essendo privo di serbatoi supplementari? Inoltre come aveva fatto a "bucare" quello spazio aereo controllato da una decina di radar? L'autorità libiche spiegarono un po' meglio la missione del loro Mig-23: decollo da Bengasi con massimo 400 km di autonomia per un'esercitazione in cui si doveva simulare l'intercettamento di un aereo nemico; questi fungeva da lepre e altri due aerei gli davano la caccia. Quando il pilota ebbe un malore fece in tempo ad inserire il pilota automatico, gli inseguitori non avendo ricevuto risposta lo lasciarono al suo destino. Stop. Ma perchè non erano subito state avvertite l'autorità italiane? e se il Mig fosse precipitato su un centro abitato? davvero l'autonomia era di 400 km? Bengasi è molto più lontana dalla Calabria... Intanto fu ventilata come ipotesi della tragedia il cedimento strutturale: l'aereo era vecchio — 14 anni — aveva avuto una manutenzione scadente e per una turbolenza si era spaccato venendo giù. Secondo un rapporto del Sios (il Servizio segreto dell'Aeronautica) si era staccato il troncone di coda; ma per saperne di più ci voleva la scatola nera, che però era in fondo al mare... Ma come già scritto, il Dc-9 quel giorno aveva volato su e giù per l'Italia; non erano state segnalate anomalie, era regolarmente revisionate e quella sera non c'erano turbolenze atmosferiche degne di nota. Il comandante Domenico Gatti, oltre ad essere un ingegnere, era un pilota esperto con 7429 e 23’ ore di volo all'attivo nell'Aeronautica civile e militare. Anche il copilota, il 32enne Enzo Fontana, in Itavia da tre anni, può vantare 2872 ore e 23’ di volo. Se fosse accaduto un cedimento strutturale il pilota avrebbe subito avvisato. Lo Stato maggiore dell'Aeronautica alla fine accettò che non era stato un cedimento, ma neanche un missile: nei tracciati e dati dei radar non c'era niente che lo potesse confermare; inoltre ogni altro tracciato aereo era stato identificato. Sulle colonne dell'Evening Standard di Londra del 18 Dicembre 1980 apparve un articolo senza firma in cui forniva una tesi per Ustica: “Una portaerei francese ha lanciato il missile”; secondo il giornale inglese la portaerei doveva esercitarsi nel colpire aerei pilota e radiocomandati. Lo stesso giorno l'avvocato Aldo Davanzali presidente dell'Itavia consegnò al pm un documento in cui dopo aver consultato esperti e tecnici ribadiva la tesi del missile: “un aereo militare in un esercitazione doveva abbattere con un missile aria-aria un RPV [un velivolo di ridotte dimensioni e scarsa velocità]; il missile invece di prendere il piccolo bersaglio si orientò sulla fonte di calore più grande, il Dc che per l'appunto passava lì vicino”. Davanzali diventò indiziato di reato <<per diffusione di notizie tendenziose>>. Il ministero degli Esteri transalpino smentì sia l'esistenza del fonogramma di Sanvito che nel disastro potesse essere coinvolta una sua portaerei. In quei tempi i francesi avevano anche loro un certo via vai di mezzi navali: vedi le portaerei Foch e la Clemenceau, sopratutto questa spesso si spingeva nel basso Tirreno. Ma dove era quest'ultima la sera di Ustica? Secondo l'autorità di Tolone era rientrata in porto alle 06:30 del 27 Giugno <<dopo aver mandato i suoi aerei a terra la sera precedente, di ritorno da una missione>>. Difficile immaginare una portaerei che per l'intera notte, quella tra il 26 e 27 Giugno, rimane in navigazione senza i suoi caccia... I voli dell'Italvia furono sospesi qualche giorno dopo e il ministro dei Trasporti Rino Formica (che parlando a Montecitorio disse: «Quella del missile resta un'ipotesi più forte delle altre») revocò le concessioni il 22 Gennaio 1981. La compagnia senza più licenza e con i iente cedimento strutturale, l'aereo esplose in volo o per una bomba a bordo oppure a causa di un missile. Nel Gennaio 1984 il sostituto procuratore Santacroce passò l'inchiesta al collega Bucarelli che il 21 Novembre nominò un'altra commissione e ne affidò la presidenza al professore Massimo Blasi. Il 27 Giugno 1986 i parenti delle vittime, che ancora non si erano costituiti in associazione, rivolsero un appello al presidente della Repubblica Cossiga. Questi scrisse una lettera al presidente del Consiglio Craxi invitandolo a far riaprire l'indagini; così il suo sottosegretario Giuliano Amato andò a riferire in Parlamento e riuscì a trovare nelle pieghe del bilancio i dieci miliardi necessari per il recupero dei resti dai fondali del Tirreno. L'incarico fu affidato ad una ditta francese, la nave Neroit perlustrò i fondali e alle coordinate 39°43’ nord e 12°55’ est (90 miglia a nord di Ustica e 88 miglia sud-est di Ponza) il 2 Giugno 1987 trovò il relitto del Dc-9 che giace/va a 3850 metri. Il sottomarino Nautile iniziò l'immersioni il 10 Giugno 1987; entro il Maggio 1988 la maggior parte di quello che era sul fondo, "sparso" nel raggio di 7 km, era stata recuperata. Comunque nel 1990 una seconda campagna di recupero, affidata ad una ditta inglese, raccolse altri reperti (fra cui la "scatola nera" — riportata in superficie il 19 Luglio 1991 — ed un serbatoio supplementare di un caccia). I resti del Dc-9, circa il 96%, vennero concentrati nell'hangar di Pratica di Mare dove erano conservati quelli del Mig libico. Intanto durante la trasmissione “Telefono giallo” del 06.05.1988 telefonò un anonimo che si dichiarò essere un <<un aviere in servizio a Marsala la sera dell'evento>>; disse: «noi abbiamo esaminato le tracce di dieci minuti di trasmissione di cui parlate... di registrazioni... che non sono state viste. Non è vero. Perchè noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo il maresciallo responsabile del servizio ci disse praticamente di farci gli affari nostri … », poi riattaccò. Il sostituto procuratore Mario Borsellino aprì un'inchiesta e si fece consegnare il registro dei militari presenti al radar di Marsala quella sera. Secondo l'Aeronautica decine di ufficiali e sottoufficiali del turno di notte o erano fuori dalla stanza o non stavano guardando il radar. Solo uno, il maresciallo Luciano Carico, in servizio con compiti operativi, affermò di aver visto qualcosa: dalle 20:50 alle 20:59 due tracce dall'isola di Ponza scesero insieme e poi una si affievolì fino a scomparire. La commissione Blasi prima [16 Marzo 1989] si espresse a favore di un missile, esploso probabilmente nella parte anteriore dell'aereo. La commissione d'inchiesta governativa del 10 Maggio 1989 propende per l'ipotesi del missile, senza però escludere la bomba; comunque il presunto coinvolgimento dei Mig venne escluso. Con la nuova perizia del 27 Maggio 1990 la commissione Blasi si divise: tre per il missile e due per una bomba esplosa a bordo. Nel Luglio 1990 l'indagini passarono al giudice istruttore Rosario Priore; questi scoprì una novità non da poco: il volo dl Dc-9 poteva essere stato registrato anche dai radar di Poggio Ballone (Grosseto), Poggio Renatico (Ferrara), Potenza Picena (Macerata), Siracusa e Martina Franca (Taranto). Ma nell'ordine: a Poggio Bollone non videro niente ed i registri erano stati nel frattempo distrutti; a Potenza Picena idem — nessuna registrazione, nessun registro o nastro; a Poggio Renatico c'era sì un piccolo registro, ma curiosamente mancava proprio la pagina del 27 Giugno (tagliata con una lametta). Il radar di Siracusa era spento ma non doveva esserlo perchè doveva coprire quello di Marsala (fuori uso per l'esercitazione che aveva procurato i due "buchi" nei nastri). Il generale dell'Aeronautica militare Enrico Pinto, coordinatore del Comitato studi per Ustica, ha più volte affermato: «Nell'interno del punto della destrutturazione, nel raggio di cinquanta o sessanta miglia, non c'era nessun velivolo … ». In seguito saltarono fuori altri particolari di quella sera del Giugno 1980: in Toscana due F-104 stavano tornando da una missione di addestramento diretti a Grosseto; alle 20:24 sopra Firenze incrociarono il Dc-9 con un aereo non identificato che gli volava sotto. Alle 20:26 il primo biposto emise un segnale di allarme generale della Difesa Aerea: stava per iniziare un'operazione di intercettazione chiamata in gergo scramble (l'aereo non identificato sarebbe stato scortato e costretto all'atterraggio sull'aeroporto militare più vicino). Alle 20:33 fu ripetuta la procedura d'allerta e poi ancora; infine alle 20:39 gli aerei rientrarono senza procedere allo scramble. Nessuno ritenne di chiedere alcuna spiegazione a riguardo. L'Aeronautica militare e la Nato non hanno mai chiarito le ragioni di quell'allarme. Sempre da Grosseto fra le 20:18 e le 20:45 decollarono altri quattro F-104 che però spensero subito il trasponder di bordo. Altri aerei militari francesi furono visti decollare dalla Corsica, un aereo militare decollò dalla base di Sigonella un'ora dopo il disastro e un Awaks (un aereo radar american) incrociava sull'Appennino tra la Toscana e le Marche. Tra le pieghe dell'inchiesta spuntarono delle "interessanti" conversazioni (registrate talvolta in automatico) tra torri di controllo, centri radar e comandi militari. In una fra due operatori di Ciampino e Martina Franca si parla di <<traffico americano in zona [dove stava il Dc-9], molto intenso>>, una <<portaerei>>, <<metterci in contatto tramite l'ambasciata americana>>. Alle 20:58 due militari a Marsala davanti al radar ebbero a dire: «Sta' a vedere che quello dietro mette la freccia e passa» e «Quello ha fatto il salto del canguro». Poi ce ne furono altre fra militari a Grosseto alle 22:04 («Qui poi il Governo, quando so' americani... ma tu, che cascasse», «È scoppiato in volo») e altri due militari a Ciampino alle 22:05 («Io stavo pure ipotizzando una eventuale collisione», «Sì o un'esplosione in volo». Alle 22:39 dal centro radar di Ciampino partì una telefonata verso l'ambasciata americana; ma l'operatore non riuscì a mettersi in contatto. Tutto il personale che partecipò a quelle telefonate venne identificato tramite riconoscimenti e incrocio di informazioni; finalmente fu ammesso che era stata contatta l'ambasciata Usa e che c'era del "traffico americano" (circostanze negate fino al ritrovamento dei nastri). Però in fase di dibattimento tutte queste persone contrastarono in un modo o in un altro il contenuto delle registrazioni o delle loro precedenti deposizioni. Curiosamente la pagina del 27 Giugno dei registri del personale fu strappata e ricopiata in bella copia sulla successiva. Il giudice istruttore per l'inchiesta aveva/ha a disposizione 18 ore di registrazioni, i due nastri radar di Marsala, il nastro di Ciampino, quattro tabulati di Poggio Pallone, le perizie delle commissioni Luzzati e Blasi. Il 31 Agosto 1990 Priore decise di nominare un nuovo collegio peritale guidato dal professore Aurelio Misiti ¦relazione finale del 23.07.1994¦ ed affidò un'altra perizia a due esperti, Carlo Casarola e Mandred Held. Secondo questi una <<quasi collisione>> di un aereo militare con il Dc-9 ne provocò la caduta; invece le commissioni nominate dall'Aeronautica si allinearono tutte per l'ipotesi della bomba a bordo. Dato che l'inchiesta sulla strage di Ustica fu condotta in base alle norme del codice di procedura penale antecedente il 1989 il giudice istruttore dovette raccogliere le prove per il processo. Il 31 Agosto 1999 Priore emise una sentenza-ordinanza (la n. 527/84A) contro ignoti dato che non erano/sono note nomi e nazionalità di chi sparò il missile, l'ipotesi ritenuta più probabile. Comunque il giudice istruttore chiese il rinvio dei generali Lamberto Bartolucci, capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, Franco Ferri, sottocapo di Stato maggiore dell'Aeronautica, Corrado Melillo, generale di brigata aerea, e Zeno Tascio, capo dei Servizi di informazioni dell'Aeronautica. Per loro il capo d'accusa era quello di alto tradimento, <<per aver impedito, tramite la comunicazione di informazioni errate, l'esercizio delle funzioni del governo>>. Inoltre furono rinviati a giudizio una quarantina di ufficiali e militari dell'Aeronautica per vari reati: falso ideologico, abuso d'ufficio, falsa testimonianza, favoreggiamento, falso, dispersione di documenti. Il 28 Settembre 2000 iniziò il processo presso la terza sezione della Corte d'assise di Roma si aprì nell'aula-bunker di Rebibbia. Dopo ben 272 udienze ed aver ascoltato migliaia di testimoni, periti e consulenti il 30 Aprile 2004 arrivarono le sentenze: assoluzione per i generali Melillo e Tascio <<per aver turbato (e non impedito) le funzioni di governo>>, condanna per i generali Bartolucci e Ferri <<ma, essendo ormai passati più di 15 anni, il reato è caduto in prescrizione>>. Anche per molte imputazioni relative ad altri militari dell'Aeronautica fu dichiarata la prescrizione. Il reato di abuso d'ufficio, invece, non sussisteva più per modifiche successive alla legge. Tutte le parti coinvolte non si sentirono soddisfatte dalla sentenza e così ricorsero in appello. Aldo Davanzali si spense il 25 Maggio 2005 all'ospedale di Loreto all'età di 83 anni; nell'Aprile 2001 chiese allo Stato 1.750 miliardi di lire per danni esistenziali e patrimoniali. La sentenza era prevista per il 2008, ma la causa è ancora in corso. Il processo d'appello si aprì a Roma il 3 Novembre 2005 e si chiuse il successivo 15 Dicembre: assoluzione per Bartolucci e Ferri perchè <<il fatto non sussiste>>. La procura di Roma propose il ricorso in Cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza di secondo grado. Il 10 Gennaio 2007 la prima sezione penale della Corte di Cassazione confermò la sentenza pronunciata dalla corte d'assise d'appello di Roma. In pratica, è stato appurato che ci fu una battaglia aerea intorno al Dc-9 e che gli imputati non potessero non sapere; inoltre commisero i fatti a loro contestati, ma sono stati assolti perché non sono state raccolte prove sufficienti per condannarli.LUGLIO
« Non c'è tempo. » 9" prima del termine delle registrazione; 15.07.'00 14:44:19 |
Christian Marty |
aviatore, pilota Concorde {dal 1999} |
A. Parigi, 16.12.1946 Ω. Gonesse - Parigi, 25.07.2000 14:44:31 |
« La tristezza durerà per sempre. » biglietto scritto prima di spararsi? « Ora vorrei ritornare. » prima di morire |
Vincent Willem van Gogh • pittore |
Zundert [Olanda], 30.03.1853 Auvers-sur-Oise—Parigi, 29.07.1890 |
tentato suicidio? di due giorni prima; ferita allo stomaco [leggi qui] link |
AGOSTO
“ Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.
”parole scritte sulla prima pagina del suo libro “Dialoghi con Leucò”, poi lasciato sul comodino
CESARE PAVESE
• poeta, scrittore, saggista, traduttoreA. Santo Stefano Belbo ¦cascina in località San Sebastiano;
oggi via Pavese 20¦ (Cuneo), 09.09.1908 06:00Ω. Torino ¦albergo “Roma” stanza n. 49; oggi n. 246¦, 27.08.1950
notteSETTEMBRE
« Ciao mamma, ciao papà.
»ai genitori come ogni mattina prima di andare al lavoro
ROSARIO ANGELO LIVATINO
(‘giudice ragazzino’ - 1 e 2, ‘il piccolo giudice′)
sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento
{dal 29.09.1979 al 20.08.1989}giudice addetto alla sezione penale del Tribunale di Agrigento
{dal 21.08.1989 al 21.09.1990}{in corso il processo di beatificazione e il procedimento per la nomina a venerabile; servo di Dio}
A. Canicattì
¦viale Regina Margherita n. 166¦ (Agrigento), 03.10.1952Ω. dirupo sul viadotto “Gasena”; SS 640 (Agrigento), 21.09.1990 09:05
agguato di due sicari; colpi di arma da fuoco al volto [clicca qui]
linkOTTOBRE
« Ciao, sii felice, perchè io lo sono.
»alla mamma che l'assisteva
CHIARA BADANO (′Chiara Luce′)
studentessa e membro GEN
{venerabile dal 03.07.2008, beatificata il 25.09.2010}
A. Sassello (Savona), 29.10.1971
Ω. Badani
¦via Badano · mansarda di casa¦ – Sassello, 07.10.1990 04:10osteosarcoma alla spalla [leggi qui]
linkNOVEMBRE
»Juárez
, 06.11.1980TERENCE STEVEN MCQUEEN
(Steve McQueen, Bandito, Sam Shepard nel 11.1980)
attore; pilota di auto, moto e aerei
A. Beech Grove
¦St. Francis Hospital¦ (contea di Marion) [Indiana], 24.03.1930 12:15Ω. Juárez
¦clinica Santa Rosa¦ [Messico], 07.11.1980 03:15trombosi coronaria susseguente ad un'operazione chirurgica link
Nel Novembre 1978 Steve McQueen divorziò dalla seconda moglie, Ali McGraw sposata il 13.07.1973. Però in quei mesi aveva una tosse persistente; così smise di fumare e si sottopose a cure di antibiotici. Nel 1979 girò due film: Tom Horn e The Hunter. Il 22 Dicembre 1979 al Cedars Sinai Hospital di Los Angeles fu emessa la diagnosi-condanna: mesotelioma peritoneale. I medici non poterono che essere lapidari: né un'operazione chirurgica, né la chemioterapia sarebbero servite a guarire. Al massimo si poteva prolungare la sopravvivenza a 12-18 mesi. Il 16 Gennaio 1980, Steve si sposò con la modella venticinquenne Barbara Minty. Non accettando la prognosi, l'attore tentò una qualsiasi cura. Così nel
Luglio 1980 si ricoverò nella controversa clinica messicana Santa Maria Plaza. Per tre mesi fu sottoposto a trattamenti di dubbia efficacia: iniezioni di cellule animali, oltre cento pillole di vitamine al giorno, laetrile (sostanza prodotta dai noccioli di susine e pèsca), succhi, clisteri e disintossicanti vari. Il 24 Settembre in una conferenza stampa annunciò la sua malattia. Nelle successive settimane ebbe vari consulti i medici gli ribadirono che un'operazione chirurgica era praticamente inutile, e per di più rischiosa... Steve non volle sentire ragioni: il 5 Novembre ricoverò con un falso nome nella clinica Santa Rosa di Ciudad Juárez, una cittadina messicana a confine con El Paso. Il giorno seguente, quindi il 6, fu sottoposto ad un'operazione chirurgica di tre ore per rimuovere il tumore che si era ormai esteso al polmone, stomaco, addome. Uscito dalla sala operatoria, Steve rimase cosciente per qualche ora; riuscì a rispondere anche ad un colloquio medico dove affermò che la sua malattia era dovuta all'esposizione all'amianto. Secondo quanto poi riferito dal personale medico, verso le 03:15 del 7 si svegliò all'improvviso urlando per poi spirare. Fu tentata la rianimazione cardiopolmonare, ma non servì: venne dichiarato morto alle 03:30. L'autopsia eseguita ad El Paso identificò la causa della morte: trombosi coronaria. La malattia di Steve McQueen, allora praticamente sconosciuta, è da imputarsi ad una lunga esposizione alle microscopiche fibre d'amianto. Le corse automobilistiche (dove indossava una tuta protettiva) ed i tre anni, 1947-1950, prestati nella marina mercantile potrebbero essere i periodi incriminati. Il mesotelioma è una tipica forma di cancro associata all'esposizione con l'invisibili fibre d'amianto. Finora la letteratura medica non ha registrato alcun caso di guarigione conclamata da mesotelioma.« Tenno Heika banzai!
»¦Lunga vita a sua Maestà Imperiale!¦
dal balcone del Quartiere generale di Ichigaya ai soldati; 25.11.1970, 12:10
Kimitake Hiraoka (Yukio Mishima
dal 1941)drammaturgo, scrittore, poeta, regista, attore, sceneggiatore
giornalista, campione di arti marziali, fondatore e capo di un esercito privato
A. Tokio, 14.01.1925 21:00
Ω.
Ichigaya ¦quartier generale delle forze di Autodifesa¦—Tokiolesioni all'addome autoinferte con una spada, decapitazione link
Alle 07:55 locali del 7 Dicembre 1941 gli aerei nipponici attaccarono la flotta americana di stanza a Pearl Harbor nelle Hawaii. L'8 Dicembre gli Usa e la Gran Bretagna dichiararono guerra al Giappone. Il 26 Luglio Truman, il primo ministro inglese Churchill e via telegrafo il presidente cinese Chiang Kai-shek firmarono una dichiarazione congiunta: se il Giappone non si fosse arreso avrebbe avuto
“una immediata e completa distruzione”. Due bombe atomiche furono sganciate da aerei americani il 6 e 9 Agosto sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Il 14 Agosto l'imperatore Hirohito accettò i termini della dichiarazione di Potsdam. Inoltre l'autorità militari statunitensi lo costrinsero a smentire pubblicamente la sua natura "non divina"; ciò fu un autentico choc per il popolo giapponese. Il 28 Agosto centocinquanta soldati atterrarono in Giappone; era la prima truppa americana a calcare il suolo nipponico. I rappresentanti giapponesi firmarono il documento di capitolazione il successivo 2 Settembre a bordo della corazzata Missouri ancorata nel porto di Tokio. La Costituzione giapponese fu scritta in nove giorni dalle forze d'occupazione; entrò in vigore il 3 Maggio 1947. L'articolo 9 prevede un esercito con il solo scopo di difendere il territorio nazionale da eventuali attacchi o invasioni esterne. Perciò al Giappone è vietato ogni partecipazione militare ai conflitti internazionali. Quindinon poteva avere, e non ha tuttora, il diritto di belligeranza. Comunque nel 1950 venne costituita su autorizzazione americana una ‘‘forza di autodifesa’’ [jieitai]. Il 28 Aprile 1952 l'occupazione militare delle forze alleate terminò in forma ufficiale. Nella primavera del 1967 Mishima ottenne il permesso speciale di divenire allievo ufficiale; infatti in Giappone non essendoci un servizio militare obbligatorio serviva/serve un permesso. Il 5 Ottobre 1968 Mishima fondò un esercito privato: la Tatenokai [‘‘Società degli scudi’’ alla lettera]. I principi fondamentali di questo gruppo paramilitare erano: 1. la restaurazione della piena autorità dell'Imperatore; 2. la lotta al comunismo; 3. la legittimità al ricorso della violenza; 4. vivere secondo il bushidō (il codice d'onore dei samurai). Mishima si diede, visto che era l'unico teorico ed finanziatore, il grado di capitano. Per legge gli appartenenti ad un'associazione di questo tipo non potevano essere più di cento. Inoltre ottenne il permesso di portare in pubblico una spada (katana); di solito lo faceva quando era nella sua impeccabile uniforme. Gli allenamenti si tenevano nel piazzale antistante la terrazza del Quartier generale delle Forze di autodifesa nella base di Ichigaya, quartiere di Tokio. La sera del 24 Novembre 1970 Mishima portò la famiglia in un lussuoso ristorante; era la cena di commiato alla vita. Tre dei suoi luogotenenti sapevano solo di una <<azione da compiersi in autunno>>. Alle 10 del giorno dopo Mishima telefonò a due amici giornalisti e gli disse di farsi trovare a Ichigaya. Nel suo studio lasciò un biglietto su cui aveva scritto: ‘La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre ’. Poi s'avviò insieme al suo amante, il 25enne Masakatsu Morita, e altri due "cadetti" (Hiroyasu ‘Furu′ Koga e Masayoshi ‘Chibi′ Kog). Come al solito, indossavano le loro impeccabili divise; nessuno li fermò perchè la loro era una presenza nota. Alle 11 in punto si presentarono nella stanza del comandante, generale Kanetoshi Mashita con cui avevano un appuntamento. Lo scopo era quello di tentare <<un colpo di stato spirituale>> e ridare al Giappone la dignità e la disciplina di quando era governato da un imperatore-Dio. Mishima da tempo aveva pianificato tutto: entro i 45 anni avrebbe occupato simbolicamente il ministero della Difesa e poi si sarebbe ucciso secondo il rituale dei samurai [seppuku]. Il generale durante la conversazione accennò alla spada che pendeva sul fianco dello scrittore e chiese se era vera. I quattro ufficiali della "scorta d'onore" dissero che le spade — fabbricate nel XVI secolo dal maestro Kanemoto erano qualificate come "oggetti d'arte" e quindi potevano, anzi dovevano, portarle. Il generale mentre guardava ammirato le loro ‘armi’ fu immobilizzato sulla sedia; Mishima gli ordinò di convocare i circa mille soldati della base nel cortile per ascoltare il suo appello. I tre seguaci spinsero i mobili contro le porte della stanza e si barricarono: erano le 11:20. Finalmente gli ufficiali di servizio si decisero ad intervenire: riuscirono ad aprire una delle porte, ma lo scatenato ed urlante Mishima li respinse a colpi di katana ferendone alcuni. Mishima gridò al generale che se non avesse dato l'ordine di adunata l'avrebbe ucciso; ma bleffava: solo lui e Morita si sarebbero uccisi con il rituale del shinjū, il doppio suicidio d'amore. Quando giorni prima aveva comunicato la sua decisione, i tre allievi protestarono perchè volevano condividere la sorte del loro capo; lui gli rispose: «Vi chiedo di fare la cosa più difficile nel Giappone di oggi: continuare a vivere». Tutte le radio interruppero i programmi per lanciare la notizia, ripresa dalle telescriventi dell'agenzie. Alle 11:30 una folla venne fatta adunare nella piazza sottostante, alle 11:38 arrivò la polizia a sirene spiegate, alle 11:45 il primo elicottero sorvolò la base. Alle 12 esatte l'uomo salì su un balcone per leggere il suo "manifesto" davanti alle telecamere. Ma c'era molto rumore per gli elicotteri in volo a bassa quota; inoltre si era scordato il megafono... Comunque salì sul parapetto e con le mani sui fianchi iniziò a gridare il suo messaggio; alle centinaia di persone sottostanti (soldati, poliziotti, fotografi, giornalisti) arrivarono solo dei brandelli tipo: <<siete mercenari al soldo degli Usa>>, <<dobbiamo proteggere l'imperatore>>. I soldati per risposta lo ricoprirono di urla e insulti. Alle 12:08 circa Mishima e il suo compagno fidato Morita, ormai scoraggiati, si congedarono con tre «Tenno Heika banzai!». Lo scrittore — con la fronte stretta dall'hachimaki (la fascia della concentrazione e del sacrificio) — si sbottonò l'elegante divisa disegnata da Tsukumo Igarashi, lo stilista personale di De Gaulle. Come voleva un preciso rituale, prese la spada corta (wakizashi) e si mise nella posizione seduta tradizionale, cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro. Si massaggiò il lato sinistro del ventre, ispirò profondamente e si fece un taglio da sinistra a destra per 10 cm e poi affondò la lama di altri 5 cm. Vedendo che non riusciva a dare il taglio finale — quello verso l'alto — subentrò Morita. Infatti per evitare che il dolore sfigurasse il volto, era necessaria la ‘‘decapitazione’’ [kaishaku] da parte del kaishakunin. Fatto sta che Morita, preso dell'emozione, sferrò dei fendenti... ma alla schiena! Ci pensò ‘Chibi′ Koga a prendere la sciabola dalle mani tremanti del "collega" e dare il colpo secco che decapitò Mishima. A quel punto doveva essere il turno di Morita: i quattro prima si inginocchiarono e pregarono; ma il giovane non ebbe il coraggio di affondarsi la lama nel ventre. Ancora una volta ci pensò ‘Chibi′ Koga che per risparmiargli l'onta del fallimento lo decapitò con un solo colpo. I tre superstiti slegarono il generale e si consegnarono senza opporre resistenza. Il giorno dopo si celebrò un funerale shintoista in forma strettamente privata; il corpo dello scrittore fu cremato. L'Asahi Shinbun uscì con un enorme primo piano delle teste mozzate di Mishima e di Morita. Il funerale pubblico si tenne al tempio Tsukji honganji di Tokio a cui presero parte circa diecimila persone: fu la più imponente manifestazione del genere mai avvenuta. Nel Marzo 1971 a Tokio si tenne il processo; i tre ex cadetti furono condannati a quattro anni di lavori forzati. Hiroyasu Koga scontò la pena, si sposò con la figlia di Mishima e cambiò il suo cognome in Arechi.DICEMBRE
« Mi hanno sparato. »
prima di cadere riverso sul marciapiede
John Winston Lennon
cantante, musicista, poeta, scrittore
A. Liverpool
¦Maternity Hospital¦, 09.10.1940 18:30Ω. New York
¦Roosevelt Hospital Center¦, 08.12.1980 23:15ferite da quattro proiettili sparati alle 22:50 link
Mark David Chapman nacque il 10.05.1955 a Fort Worth in Texas. Il debutto del gruppo composto da John Lennon, Ringo Star, Paul Cartney, George Harrison con il nuovo nome di Beatles avvenne all'Idra Club di Amburgo il 18 Agosto 1960. Chapman già all'età di 8 anni aveva la camera da letto tappezzata da articoli e foto riguardanti i Beatles. Possedeva pile dei loro dischi, anche pubblicati da etichette diverse; inoltre passava migliaia di ore ad archiviare il materiale raccolto. Come bambino era introverso e un po' strano, sicuramente per le difficili condizioni familiari: il padre picchiava lui e la madre. Gli unici amici che aveva, se li era inventati: "omettini" minuscoli di cui era il re e gli appariva tutti i giorni in televisione. Per questa "piccola gente" organizzava dei concerti con il suo gruppo preferito; se gli omettini si comportavano male lui li distruggeva premendo un bottone del sofà in salotto. Nel 1969 Mark iniziò a saltare le lezioni a scuola, provando l'lsd e facendosi arrestare. Ufficialmente i Beatles si sciolsero il 10 Aprile 1970 quando Paul Cartney annunciò di aver lasciato il gruppo. Comunque l'ultima registrazione in studio e l'ultima sessione fotografica risalivano rispettivamente al 20 e 22 Agosto 1969. L'ultimo disco con il loro nome, Let it be (uscito come singolo l'11 Marzo), comparve nei negozi l'8 Maggio 1970. Lennon il 3 Settembre 1971 lasciò l'Inghilterra per trasferirsi negli Usa con la seconda moglie Yoko Ono ed il figlio John Charles Julian (nato l'08.04.1962 dalla prima moglie Cynthia). La residenza dei Lennon era il Dakota Building, un palazzo di lusso in stile gotico all'angolo nord-ovest fra la 72ª Strada e il Central Park West. Mark intanto divenne un cristiano rinato e frequentò l'YMCA dove si laureò nel 1973. In quegli anni iniziò a manifestarsi la sua personalità schizoide: scappò di casa e visse come un barbone per due settimane in Florida. Poi scrisse una canzone parafrasando Imagine dove in una strofa diceva: <<Immagina che John Lennon sia morto>>. Nel 1977 scappò all'Hawaii per suicidarsi; salvato all'ultimo momento, s'innamorò di una giovane del luogo che sposò il 2 Giugno 1979. Ma presto tornarono a manifestarsi problemi mentali sempre più gravi: ossessionato dal “Il giovane Holden” di Salinger fece richiesta ufficiale al municipio di Honolulu per assumere il nome di Holden Caulfield, il personaggio principale. Inoltre proseguì con l'insensato odio verso John Lennon: leggendo il suo libro One day a time e guardando la copertina di Sergent Pepper maturò fermamente il proposito di ucciderlo. Il 29 Settembre 1980 lesse un'intervista di Lennon al settimanale Newsweek che lo lasciò molto amareggiato. Nella sua mente distorta non era concepibile che ex Beatle potesse vivere nel lusso mentre allo stesso tempo predicava la pace e l'amore. Oltre agli omettini comparve un'altra voce immaginaria: quella di Satana che gli ordinava di andare a New York ed uccidere il cantante come se fosse una missione, una crociata. Mark passò mesi ad ascoltare a tutto volume — nudo — le canzoni dei Beatles. Intanto le voci dei suoi piccoli amici e di Satana gli si rincorrevano in testa: <<Non lo faccia, Signor Presidente>> e <<Fallo, fallo, fallo!>>. Il 23 Ottobre si licenziò dal suo lavoro di guardia giurata <<per prendersi cura della casa>>. Sul registro in uscita scrisse ‘John Lennon’ e ci tirò una riga sopra. Il 27 entrò in un negozio di Honolulu e comprò una calibro 38 a cinque colpi; dato che la chiedeva per difesa personale e non aveva precedenti penali il negoziante non vide alcun impedimento. Mark si fece prestare cinquemila dollari dal padre, acquistò un abito nuovo e il giorno 30 s'imbarcò su un aereo verso New York. La calibro 38 la teneva in una valigetta; allora negli aeroporti non c'erano ancora i metal detector. Alloggiò al Waldorf-Astoria, uno dei più lussuosi hotel della città; per cinque giorni di seguito fece visita al marciapiede davanti al Dakota senza incontrare nessuno dei Lennon. Pur possedendo la pistola, gli mancava il più: i proiettili; ma la loro vendita era proibita a New York. Così se ne andò per qualche giorno ad Atlanta da un ex amico; lì spiegò a Dana Reeves, diventato nel frattempo vice sceriffo, che <<lavorava nella polizia>>. Dopotutto aveva un'arma per difesa personale, ma senza proiettili... Reeves non trovò niente da obiettare e gliene fece avere del tipo che si espandono quando colpiscono il bersaglio. Il 9 Novembre era di nuovo a Manhattan e con la pistola carica; dato che i soldi erano ormai finiti si trasferì alla più modesta YMCA. Tornò al Dakota ma senza vedere Lennon; avvicinando il portiere, Jay Hastings, questi gli disse che John e Yoko erano fuori per tutta la settimana. Il giovane continuò a nutrire i suoi folli propositi, poi si calmò e telefonò alla moglie. La donna lo implorò di tornare a casa; così il 12 Mark Chapman lasciò New York. Il 17 uscì l'album Double Fantasy: diciassette canzoni di Lennon e Yoko Ono per un totale di 53’ e 49’’. Sabato 6 Dicembre sbarcò nuovamente a New York e soggiornò in una stanza dell'YMCA da 16,5 dollari a notte. Lasciate le sue cose in ostello si fece a piedi i nove isolati verso il Dakota; lungo la strada comprò Double Fantasy. Sul marciapiede del Dakota incontrò altre due fan di Lennon, ma per tutto il giorno l'artista non si fece vedere. Tornato all'YMCA, Chapman per poco non entrò a pistola spianata nella vicina camera di due gay che amoreggiavano; poi decise che era meglio lasciar fare... Domenica 7 cambiò destinazione e prese una stanza allo Sheraton Hotel. Anche quel giorno l'attesa sul marciapiede del Dakota fu vana, tornato in albergo per pranzare acquistò una nuova copia de “Il giovane Holden”. In serata telefonò a un servizio di "accompagnatrici"; quando arrivò la ragazza volle chiarire che con lei voleva solo parlare. Come pattuito pagò 190 dollari <<per il tempo che gli aveva dedicato>>; la ragazza lasciò la stanza verso le 3. Chapman si svegliò verso le 10:30 di lunedì 8, si vestì, dispose nella stanza vari oggetti secondo un (suo) preciso ordine; prese la pistola, la mise nella giacca e uscì con il disco in mano. Quando arrivò al Dakota si mise a parlare con uno dei portieri; si mise a leggere il suo libro preferito ed era così assorto che non vide Lennon scendere da un taxi e sparire nell'androne. Intanto si aggiunsero altri fan fra cui un fotografo dilettante, Paul Goresh, che spesso aspettava i Lennon per fargli qualche foto. Dopo pranzo, il piccolo Sean uscì dal palazzo accompagnato dalla bambinaia. Un fan lo salutò e gli presentò un suo amico: Mark Chapman sorrise e strinse la mano al bambino. Verso le 16:30 John, sua moglie e altre persone stavano uscendo; Chapman rimase come paralizzato, Goresh lo spinse letteralmente avanti perché si potesse fare autografare la copia del suo disco. Il cantante firmò la copertina scrivendo ‘John Lennon Dicembre 1980’, poi gli chiese se volesse qualcos'altro; il giovane — che aveva la mano in tasca sulla pistola — lo ringraziò... Intanto Goresh aveva fatto una foto ai due, Chapman gli offrì 50 dollari per una copia. Il fotografo dilettante se ne andò poco dopo, ma Mark rimase lì combattuto fra le voci della sua testa che gli dicevano sia di andarsene che uccidere John Winston Lennon. Verso le 22:48 la limousine si fermò sul marciapiede, il clima era insolitamente tiepido; ma per la strada non c'era quasi nessuno. Il cantante era tornato per dare la buonanotte al figlioletto Sean (particolare reso noto da Yoko Ono in un'intervista del 2007). Quando Mark vide passare vicino il suo "idolo", gli gridò «Signor Lennon!». Lui si girò e Chapman gli puntò la pistola contro a due mani sparando cinque colpi. John provò a scappare, ma quattro proiettili lo raggiunsero alle spalle; uno infranse una finestra. Anche se ferito gravemente, fece qualche passo verso la portineria, mormorò quella frase e poi stramazzò sul pavimento▀. Questa è la ricostruzione grafica▀ pubblicata dal New York Times del 10 Dicembre. Legenda: 1) Lennon e Yoko Ono scendono dalla macchina; 2) Chapman attende dietro l'arco all'entrata; 3) l'uomo gli spara quasi a bruciapelo, Lennon barcollando fino all'androne; 4) infine cadde a terra mortalmente ferito. Le cassette delle registrazioni quotidiane che aveva ancora in mano si sparsero tutto intorno; una macchia di sangue si allargò sotto il corpo. Chapman fece cadere a terra la pistola, si tolse cappello e cappotto e nell'attesa della polizia iniziò a leggere il libro tranquillamente seduto sul marciapiede. Hastings azionò l'allarme e si inginocchiò accanto a Lennon, gli tolse gli occhiali e cercò di tamponargli le ferite da dove usciva molto sangue. Quando arrivarono due pattuglie, i poliziotti puntarono le armi su Hastings che aveva lo sguardo spiritato e gli abiti macchiati di sangue. Ci pensò l'altro portiere nell'indicare Chapman, intento a leggere poco lontano. Uno dei due poliziotti che entrarono nel palazzo si diresse verso il corpo a terra, lo girò per sincerarsi delle ferite subite e gli chiese il nome; John sembra che rispose con voce gorgogliante <<Lennon...>> e poi perse conoscenza. L'agente comprese che non si poteva aspettare l'ambulanza; Hastings aiutò i poliziotti a caricare Lennon ormai morente sul retro di un'auto della polizia. Questa partì a sirene spiegate verso il Roosevelt Hospital Center a tredici isolati di distanza; un'altra autopattuglia con Yoko Ono a bordo seguiva a ruota. Alle 23:01 quando arrivò al pronto soccorso, Lennon era praticamente morto: il polso si sentiva appena e la pressione arteriosa si era azzerata per una perdita ematica dell'80%. Furono tentate trasfusioni e disperate manovre di rianimazione; alle 23:07 John Winston Lennon venne dichiarato ufficialmente morto. Secondo le sue volontà la vedova fece cremare il corpo, dice che le sue ceneri siano state sparse in un luogo del Central Park a lui dedicato: “Strawberry Field”. Chapman si fece arrestare senza porre alcuna resistenza, disse che aveva agito da solo e chiese più volte scusa quando era nell'autopattuglia che lo portava alla stazione di polizia. Chapman dopo le tante farneticazioni ammise che aveva ucciso Lennon perché era geloso di lui e del suo successo; così avrebbe piantato <<l'ultimo chiodo nella bara degli anni Sessanta>>. Nonostante la sua personalità disturbata e i chiari comportamenti schizofrenici, fu giudicato capace di sostenere un processo. Il 21 Giugno 1981 fu condannato a venti anni di prigione per omicidio di secondo grado con l'attenuante dell'infermità mentale (paranoia schizofrenica). La pena doveva essere scontata nell'Attica State Prison vicino Buffalo. Per la sua sicurezza venne tenuto in stato d'isolamento. Dopo aver scontato la pena, Chapman può chiedere il rilascio sulla parola ogni due anni. Rispettivamente il 3 Ottobre 2000, 9 Ottobre 2002, 5 Ottobre 2004, 10 Ottobre 2006 i tre membri della commissione per la libertà vigilata dello Stato di New York gli hanno negato questa possibilità. Il 12 Agosto 2008 la “New York State Division of Parole” ha negato questa possibilità perchè la sua scarcerazione potrebbe essere <<un motivo di preoccupazione per la sicurezza pubblica e il bene delle persone>>. I familiari di Lennon hanno più volte ribadito che non lo perdoneranno, inoltre molte petizioni popolari chiedono che sia tenuto in prigione a vita. Nel 2005 è stato girato un film biografico sui tre mesi di M.D.C. antecedenti l'assassinio. Negli Stati Uniti è stato distribuito solo nel 2008 ed in Italia su Rete4 nella prima serata di mercoledì 08.12.2010. Le riprese del film “Chapter 27”, anche al Dakota Building, sono terminate nel 2006. Mark David Chapman è interpretato da Jared Leto; invece Mark Lindsay Chapman (nessuna parentela con M.D.C.) è John Lennon. La prima del film si è tenuta il 25 Gennaio 2007 al Sundance Film Festival. In Italia la pellicola, assai controversa, non è uscita al cinema e nemmeno in tv. Nel Settembre 2010 — per la sesta volta — Chapman è comparso davanti alla commissione giudicante dello stato di New York; l'uomo ha dichiarato che: «Avrei ucciso chiunque, se non fosse stato Lennon sarebbe stato qualcun altro», «scelsi Lennon perchè era il più raggiungibile», «non c'era un motivo personale in queste scelte, erano famosi. ecco tutto. E ucciderli mi avrebbe portato la notorietà e la fama. Sentivo che se avessi ucciso Lennon sarei diventato qualcuno. E invece sono diventato un assassino e gli assassini non sono nessuno». Il 7 Settembre la commissione composta da tre persone ha reso nota la decisione, naturalmente negativa
. La motivazione è stata la seguente: “il rilascio discrezionale rimane, in questo momento, rimane inappropriato e incompatibile con il bene delle persone”. Il 23 Agosto 2012 la “New York State Division of Parole” ha reso nota la sua decisione riguardo la scarcerazione di Chapman: NEGATIVA. Il detenuto, dal Maggio 2010 nella prigione di Wende ¦fonte¦, potrà richiedere la libertà vigilata ogni due anni. Il 23.08.2018 la richiesta è stata negata per la decima volta ¦fonte¦.
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