Alle 08:55
del 16 Marzo 1978 Aldo Moro uscì dalla sua casa di via del Forte Trionfale 79,
zona Camilluccia. L'attendevano la
130
di rappresentanza e un
Alfetta
158
di scorta; entrambe le macchine non erano blindate. È sicuro che
nell'autorimessa della Presidenza del Consiglio ci fosse una vettura di questo
tipo; ma i motivi per cui non fosse stata assegnata alla scorta di Moro restano
oscuri. La guardia del corpo dello statista, il maresciallo dei carabinieri Leonardi, aveva più volte
richiesto un mezzo blindato e altri due uomini. Fece rapporto ai superiori dei
sospetti pedinamenti e voci "preoccupanti"; per sicurezza dispose di raddoppiare
il numero di munizioni all'armi d'ordinanza. Sembra che quella benedetta auto
blindata fosse stata ordinata nel Dicembre 1977. Gli agenti di Pubblica
Sicurezza aggregati alla scorta non facevano regolari esercitazioni di tiro. I percorsi
possibili verso il Parlamento erano due, cambiavano se Moro
non
faceva in tempo per la messa di piazza Monte Gaudio. In quel caso andava con la
moglie nella chiesa di
Santa Chiara in piazza dei Giochi Delfici.
Nel 1978 fu
istituito il senso unico in via della Camilluccia e quindi
era obbligatorio passare per via Fani. I possibili itinerari erano
decisi all'ultimo momento da Leonardi e Moro, che fra l'altro la mattina presto
facevano una passeggiata allo stadio dei Marmi. Alle 10 del 16 Marzo 1978 Moro
era atteso alla Camera dei Deputati dove
il Presidente del Consiglio Andreotti avrebbe illustrato il suo
quarto governo
per avere la "fiducia".
Nella storia repubblicana, per la
prima volta una legislatura avrebbe ottenuto anche il sostegno esterno del
Pci. Come tutte le mattine,
Leonardi salì in casa di Moro e prese le due borse che il presidente della
Dc si portava sempre dietro: quella con documenti riservati e l'altra con
effetti personali e medicine. Come al solito, Leonardi si sedette nel sedile
anteriore della 130; Moro dietro l'autista che da 20 anni l'accompagnava. Il corteo era chiuso dall'Alfetta
con i tre agenti di Pubblica Sicurezza:
Giulio Rivera alla guida, Francesco Zizzi accanto e Raffaele Iozzino dietro. Il corteo di macchine dopo aver
percorso via del Forte Trionfale curvando a sinistra s'immise in via Pieve di Cadore.
Poi svoltando a destra le due macchine entrarono in via Mario Fani. Dopo poche
centinaia di metri una ragazza (‘la compagna Marzia’/Adriana
Faranda), la cosiddetta "vedetta", fu vista agitare un mazzo di fiori e poi si defilò. Dalla
fila di macchine parcheggiate sulla destra — prima dell'incrocio con via Stresa
—
uscì una
128
giardinetta con una targa del Corpo diplomatico. Questa si intromise giusto
davanti alla
130,
Ricci vedendo questa manovra insolita rallentò; il corteo procedeva verso
lo stop. Davanti alle saracinesche abbassate del bar “Olivetti”, chiuso per
fallimento da mesi, stazionavano quattro-cinque persone con uniformi
dell'Alitalia; ai loro piedi c'erano delle borse sportive. Guarda caso quella
mattina il
fioraio che stazionava all'altezza dell'incrocio fra via Stresa e via Fani non era presente; nella notte precedente erano state tagliate tutte le
gomme al furgone dell'uomo... Il conducente della 128,
Mario
Moretti, si fermò all'altezza dell'incrocio con
via Stresa cercando di occupare tutta la carreggiata, le
luci
di stop non erano accese e questo disorientò ancora di più Ricci. Alle 09:02
circa improvvisamente una
132
guidata da Bruno ‘Claudio′
Seghetti entrò in retromarcia da via Stresa ponendosi accanto alla
128,
un'altra 128 intanto si mise di traverso poco dietro l'Alfetta: era la
cosiddetta manovra "a cancelletto"
(usata per la prima volta il
5 Settembre 1977 dai ‘compagni′ della
RAF
per rapire
Hanns-Martin Schleyer
e uccidere la sua scorta — vedi
filmato dell'"azione" tratto dal film “La
banda Baader Meinhof”).
Tornando al sequestro Moro, quasi sicuramente non ci fu tamponamento
fra la 130 e la 128 perché entrambe non riportarono danni; inoltre sull'asfalto
non si registrano segni di frenata. Se la 130, quattro volte più pesante, avesse
tamponato la giardinetta l'avrebbe gravemente danneggiata. Una persona,
scesa dalla 128 o più probabilmente ferma sul marciapiede, sparò sei colpi di una calibro
7,65 a Leonardi. Una perizia del 1993 stabilì che la traiettoria dei proiettili
andò dall'alto al basso per non incrociare l'altro brigatista che sparava da
sinistra. Il caposcorta fece appena in tempo a girarsi per proteggere Moro; la
morte — se non fu istantanea — venne "suggellata" da un colpo di grazia alla nuca,
sparato a bruciapelo dopo aver prima infranto il vetro laterale. Naturalmente
il caposcorta non poté mettere mano alla pistola che teneva in una scatola di
plastica sul cruscotto. Oreste Leonardi era
nato il 10.06.1926 a Torino, dal 1963 era la guardia del corpo di Moro; lasciò
la
moglie e due figli (Sandro e Cinzia di 17 anni). Quasi in contemporanea con
l'uccisione di Leonardi, da dietro le siepi di pitosforo i quattro uomini — con giubbetti antiproiettile — tirarono fuori
le pistole mitragliatrici.
Sul fianco sinistro dell'Alfetta arrivarono circa
17 colpi che bucarono la carrozzeria e incrinarono il vetro laterale sinistro ed
il lunotto posteriore.
La guardia di Pubblica Sicurezza Rivera fu raggiunta
da dieci proiettili e morì all'istante. Giulio Rivera era nato il 10.08.1954 a
Guglionesi
(Campobasso), nel 1974 entrò in P.S. per poi essere assegnato ai
servizi di scorta.
Alzando il piede dalla frizione l'Alfetta procede senza più controllo e andò a
sbattere contro la 130 davanti.
Ricci quando vide la 128
ferma e la 132 di traverso sulla sinistra cercò di svicolare verso destra; ma una
Mini posteggiata per caso sul marciapiede glielo impedì. Inoltre non poteva
nemmeno andare indietro perchè l'Alfetta l'aveva tamponato incastrando i
paraurti. Uno dei due "professionisti" sul lato sinistro, forse quello
rimasto con il mitra inceppato, gli sparò con la pistola; Ricci fu raggiunto da
otto proiettili e
rimase come fulminato con ancora le mani sul volante. Anche per lui ci fu il colpo di
grazia alla nuca. L'appuntato dei carabinieri era nato il 18.09.1934 a San Paolo di Jesi,
da venti anni faceva l'autista di fiducia dell'onorevole Moro; lasciò la moglie e due figli (Paolo di 10 e Gianni di 12).
Con l'uccisione dell'autista e del caposcorta, e sopratutto con Moro incolume,
gli attentatori poterono liberamente sparare sull'Alfetta. Zizzi
forse prese in mano l'autoparlante anche se non funzionava bene; riuscì a
scendere, ma era disarmato e venne colpito alle spalle da tre proiettili. Quando
arrivarono i soccorritori lo trovarono agonizzante a terra; trasportato al Policlinico Gemelli
fu sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. Nonostante tutto morì alle
12:30 senza aver ripreso conoscenza. Francesco
Antonio Zizzi entrò in Polizia nel 1972 e venne destinato a
Parma. Nel 1977 a Latina conobbe una ragazza con cui si fidanzò. Nel Febbraio 1978 chiese trasferimento a Roma;
il 1° Marzo fu aggregato al Viminale in ruoli amministrativi. Il 15 Marzo il
caposcorta di P.S. Rocco Gentiluomo si trovò in licenza/ferie senza averlo
chiesto; al suo posto, lui che era addetto da 14 anni alla scorta, fu
assegnato Zizzi. Questi — pur non avendo mai partecipato ad un "servizio di
tutela" — accettò; dopotutto era stato trasferito da nemmeno un mese e quindi... Il
vicebrigadiere stava progettando le nozze, aveva 30 anni essendo nato il
14.06.1948. Iozzino si trovava
sul sedile posteriore destro dell'Alfetta, riuscì a scendere dalla portiera e
rotolandosi a terra poté sparare due colpi con
la
sua pistola di ordinanza. Ma era circondato su più fronti: i quattro brigatisti
con l'M12, i due accanto alla 128, ‘Tex Willer′ e due in borghese che si
erano appostati fra l'auto in sosta. Fatto sta che il giovane poliziotto fu
colpito alle spalle per quattro volte; la pistola gli scivolò dalla mano finendo
ad un metro di distanza. Mentre si trovava steso sull'asfalto ricevette il
colpo di grazia alla fronte; così rimase con gli occhi aperti al cielo, le
caviglie incrociate e le braccia
spalancate, una macchia scura di sangue gli scendeva da sotto il corpo. Raffaele Iozzino si era arruolato nella Pubblica Sicurezza nel 1971.
Poi frequentò la
scuola
di Alessandria ed
successivamente fu aggregato al Viminale e quindi comandato permanentemente al
servizio di scorta. Quando morì aveva 25 anni, infatti era
nato il 02.01.1953 a Casola (Napoli). Secondo la perizia balistica furono
esplosi in circa 90’’ un totale di 91-93 colpi; di questi 49 provenivano da
mitra
Sten e 22 da un
pistola mitragliatrice
FNAB-1943. Le altre armi
spararono appena 20 colpi:
otto da una Smith & Wesson calibro 9
parabellum |foto|,
cinque da un mitra
TZ-45, quattro da una Beretta 52 calibro 7,65 e
tre da una
Beretta
M12.
In seguito verrà appurato che dei quattro componenti (Franco Bosinoli, Raffaele
Fiore, Prospero Gallinari, Valerio Morucci) del "gruppo di fuoco" uno non sparò
affatto: forse la sua arma s'inceppò oppure rimase di riserva.
Colui che sparò 49
colpi, soprannominato ‘Tex Willer′, indossava la divisa e mostrò una grande
padronanza e freddezza. Quasi tutto il "lavoro" se lo fece lui: ad esempio,
insieme a chi impugnava il FNAB investì con 45 colpi l'Alfetta. L'esistenza — supportata da varie testimonianze —
di questo ‘Tex Willer′ è
sempre stata negata dai brigatisti. Comunque un mese prima, nel Febbraio 1978,
terroristi delle Br e della RAF s'incontrarono a Milano; inoltre il sequestro
Moro e
quello di
Hanns-Martin Schleyer furono per molti versi
simili... Tornando al sequestro, due uomini a bordo di una Honda blu prima che i
brigatisti fuggissero "intercettarono" un civile, l'ingegner Alessandro Marini,
che voleva oltrepassare a bordo del proprio motorino l'incrocio fra via Fani e
via Stresa. L'uomo dietro sulla sella gli sparò dei colpi di mitra; il
parabrezza venne forato ma l'uomo si salvò cadendo a terra. A detta di vari
testimoni questa Honda fece più "giri di ronda" durante la mattinata.
Nella
130, delle cinque borse che lo statista si portava
dietro, furono ritrovate solo quelle contenenti articoli di giornale e la tesi di
laurea che avrebbe discusso in mattinata con uno dei suoi studenti (Moro infatti
era
titolare
dal 1963 della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la
Facoltà di Scienze Politiche). Le due valigie che di
solito erano nel vano fra i due sedili sparirono. La 130 ministeriale si
trova al museo centro prove della Motorizzazione Civile di Roma, invece l'Alfetta
è all'Ufficio motorizzazione della questura capitolina.
Con la legge 23.11.1979 n. 597 fu istituita la
“Commissione parlamentare
d'inchiesta
sulla strage di via
Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia”. A
questi link potrete trovare:
la cronologia dell'operazione Fritz - il sequestro
Moro con i principali protagonisti fra le
Brigate;
il memoriale di Aldo Moro e le sue lettere dal ‘carcere
del popolo’;
i processi alle Br;
i documenti delle commissione parlamentare di
maggioranza e le relazioni di minoranza. Metà degli appartamenti
dello stabile di via Gradoli 96, dove la polizia il 18 Aprile 1978
scoprì
¦pagina
Wiki¦ un covo delle Br, erano nelle
disponibilità dei servizi segreti. Sembra che il nome Gradoli fosse uscito dalla
seduta spiritica tenuta nel bolognese il 3 Aprile;
curiosamente le perlustrazioni si concentrarono nell'omonimo comune in provincia
di Viterbo e non nell'omonima
via di Roma... Solo otto giorni dopo l'omicidio la Digos
fece irruzione in via Pio Foa 31 a Roma nella tipografia usata dai brigatisti. Il 1°
Ottobre i carabinieri trovarono in un appartamento di via Montenevoso 8 a Milano
la prima parte del cosiddetto ‘memoriale
Moro’. Sempre nel medesimo appartamento, il 10 Ottobre 1990
durante dei lavori di restauro, il muratore
napoletano Giovanni Bernardo demolendo un tramezzo scoprì altro materiale: era
la versione più estesa del "memoriale".
Per la cronaca, gli inquirenti a suo tempo avevano dichiarato che l'appartamento
era stato <<scarnificato>>. Il
10 Ottobre 1980 la polizia fece irruzione in una appartamento di via Zella 11 a
Genova e arrestò la 73enne
Caterina Picasso, che aveva trasformato la sua
casa in un covo di appoggio; gli inquirenti trovarono la pistola che
uccise Moro. Tutto il materiale cartaceo (le lettere dalla
prigionia, le fotocopie e tanti altri documenti solo in originale) sono raccolti
in faldoni custoditi in uno dei tanti sotterranei dell'archivio generale del
tribunale di Roma. Per legge, dopo quarant'anni dalla conclusione degli eventi
le carte dei tribunali devono essere consegnate al più vicino
Archivio di Stato. Purtroppo
c'è il rischio che nel frattempo tali incartamenti possono andare persi se non
opportunamente trattati. Quasi tutti i partecipanti alla ‘operazione Fritz’
(l'uccisione della scorta e il sequestro con successiva omicidio di Aldo Moro)
vennero inesorabilmente arrestati.
Nei
cinque processi gli imputati
furono condannati ad uno o più ergastoli.
I due fantomatici uomini a bordo della Honda vennero ritenuti ‘Br’; così furono
condannati anche per il tentato omicidio dell'ingegner Marini. Il "gruppo
storico" della operazione Fritz ha sempre negato che quelle due persone fossero
dei brigatisti. La
legge 18·02·1987 n. 34, quella ‘sulla
dissociazione’,
permise a chi si "dissociava" sconti notevolissimi di pena; ad esempio, svariate
carcerazioni a vita furono commutate in massimo 22 anni e mezzo [!].
Solo
Alessio Casimirri e Rita Algranati riuscirono a
far perdere le loro tracce. Il primo, dopo essere fuoriuscito dalle ‘Br’ nel 1980,
è diventato un cittadino del Nicaragua (ci arrivò nel 1982). Ovviamente anche
lui fu condannato all'ergastolo; nel 1998 si è sposato con Raquel Garcia Jarquin,
da cui ha avuto due figli. Tutti le richieste di estradizione da parte
dell'autorità italiano sono sempre falliti. Rita Algranati, la "postina" durante
il sequestro Moro, entrò in clandestinità girando in vari paesi africani e sudamericani.
Nel Gennaio 2004 fu arrestata all'aeroporto del Cairo insieme ad un altro
brigatista. Adesso lavora come bibliotecaria a Rebibbia. Solo lei sta scontando
la condanna per il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, più ovviamente la strage
della scorta dello statista. Il 23 Marzo 2014 è uscito un servizio a cura di
Paolo Cucchiarelli dove un ex poliziotto torinese fa importanti rivelazioni sui
due uomini a bordo della moto di grossa cilindrata all'angolo di via Stresa-via
Fani la mattina del 16 Marzo 1978. Quei due erano genti dei ‘Servizi’ che si
trovavano lì per
‘‘
… proteggere le Br nella loro azione a disturbi di
qualsiasi genere …
”
[testo di una
lettera anonima pervenuta a La Stampa
nell'Ottobre 2009]. La persona alla guida dell'Honda spiegò nella lettera che,
insieme al "collega" anche lui di Torino, dipendeva dal colonnello Guglielmi.
L'ispettore della Digos Enrico Rossi iniziò ad indagare arrivando all'uomo che
sparò all'ingegner Marini; l'autore dalla missiva anonima, dichiaratosi malato
terminale di cancro, era già morto. Rossi perquisì la casa del "complice" a
Cuneo trovando una pistola Berretta regolarmente denunciata e anche una Drulov
cecoslovacca nascosta sotto una copia cellofanata dell'edizione
straordinaria di
Repubblica
del 17.03.1978. A detta
dell'ispettore l'uomo, torinese ma abitante in Toscana, doveva avere conoscenze:
durante la perquisizione fece intervenire i carabinieri; inoltre l'indagine
trovò vari ostacoli: non fu possibile interrogarlo, le perizie delle due pistole
venne rifiutata e sparirono diversi reperti... Nel'Agosto 2012 l'uomo andò in
pensione all'età di 56 anni; le procure di Torino e di Roma hanno riaperto
l'indagini per poi archiviarle di nuovo. Su questo
post del blog “Insorgenze”
sono confutate le rivelazioni di
Enrico Rossi. L'allora ufficiale Camillo Guglielmi era in forza alla Legione
Carabinieri di Parma e dal 1972 faceva parte dei ‘servizi’.
Verso le 9 del 16 Marzo 1978 si trovava a 200 metri da via Fani, ed è un fatto;
tale circostanza curiosa la spiegò come un invito a pranzo da parte del
colonnello D'Ambrosio; questi interrogato poi replicò che invece che l'invito
l'aveva ricevuto e non accettò perchè era troppo presto... Guarda caso,
Guglielmi fu posto in congedo il 15.04.1978, ufficialmente lascò il Sismi il
31.12.1979 e passò
all’8°
Comando militare territoriale di Roma. Dice che abbia continuato a collaborare
con il controspionaggio militare fino al 30.11.1981. Camillo Guglielmi morì per
un attacco cardiaco l'11.01.1992 all'età di 68 anni [vedi "tomba
virtuale"]. Il 9 Giugno 2016 la Commissione parlamentare
d'inchiesta ascoltò Adelmo Saba, allora in servizio presso il commissariato di
Monte Mario che svolgeva anche funzioni di vigilanza e protezione di obiettivi
sensibili del territorio. Saba riferì una confidenza che Gentiluomo fece qualche
giorno dopo l'attentato: <<Adelmo,
mi hanno voluto salvare>>.
Inoltre anche lui quel 16 Marzo 1978 fu messo in ferie senza richiederlo e così
non poté compiere la "bonifica" [<<Se
c'era qualcuno sospetto o autovetture sospette. Noi controllavamo sia le targhe
sia le persone sospette … >>]
Nel Luglio 1960 la convention democratica di Los Angeles designò John Fitzgerald Kennedy candidato per le elezioni presidenziali. L'8 Novembre JFK superò il vice presidente uscente Richard Nixon di appena 118.754 voti (34.226.731 contro 34.108.157; 49,7% / 49,6%; 303 “grandi elettori” a 219). Nel giorno dell'insediamento alla Casa, il 20 Gennaio 1961, il 35° Presidente nominò suo fratello Robert Francis ministro della Giustizia. Il 22 Novembre 1963 JFK fu ucciso a Dallas. Quindi subentrò come 36° Presidente il suo vice, Lyndon Baines Johnson. Poco prima delle elezioni presidenziali, il 3 Settembre 1964, RFK si dimise da ministro della Giustizia. Intanto il 3 Novembre 1964 LBJ stracciò il repubblicano Goldwater; sempre in quel mese Robert Kennedy fu eletto senatore per lo Stato di New York e prese servizio il 03.01.1965. Per le presidenziali del 1968 LBJ non era molto convinto di candidarsi; il senatore democratico del Minnesota Eugene McCarthy decise di essere il suo "rivale". Fatto sta che il 12 Marzo nelle primarie del New Hampshire McCarthy superò Johnson. Quattro giorni dopo anche RFK annunciò la sua candidatura. Il 31 Marzo LBJ si ritirò dalla corsa alle presidenziali, al suo posto si candidò il vice presidente Hubert Humphrey. RFK vinse le primarie in Indiana e Nebraska, le perse in Oregon ma poi vinse in Sud Dakota. Il 4 Giugno nelle primarie della California ottenne una fondamentale vittoria contro McCarthy. Anche se in svantaggio 393 a 561 contro il senatore del Minnesota, lo avrebbe probabilmente battuto nella convention fissata per il 26-29 Agosto a Chicago. RFK festeggiò il successo con tutto lo staff riunito all'Hotel Ambassador di Los Angeles. Verso mezzanotte ed un quarto del 5, il senatore stringeva le mani ai molti presenti stipati nelle cucine. La versione ufficiale fu che un 24enne immigrato giordano-palestinese, Sirhan Bishara Sirhan, gli sparò alcuni colpi a bruciapelo con una pistola calibro 22. Questa versione comunque è stata più volte contestata negli anni successivi. Fatto sta che tre colpi raggiunsero RFK: due al torace ed uno che gli penetrò da dietro l'orecchio destro per fermarsi nella nuca. Nell'attentato altre cinque persone rimasero ferite; Sharin fu disarmato dai presenti e consegnato alla polizia. Qualche minuto dopo il personale paramedico arrivò all'hotel; RFK quando fu adagiato sulla lettiga riuscì a dire qualche parola e poi cadde in coma. Il ferito venne portato con il montacarichi al piano della strada, l'autoambulanza sfrecciò verso il vicinissimo Central Receiving Hospital. I dottori dopo averlo stabilizzato deciso di trasferirlo al più attrezzato The Good Samaritan Hospital. Una delicata operazione neurochirurgica di tre ore e 40’ riuscì nell'intento di rimuovere il proiettile e alcuni frammenti ossei; ma il danno al cervello era troppo esteso e grave. Alle 01:44 del 6 Giugno, oltre 26 ore dopo il ferimento, RFK morì senza aver ripreso conoscenza. Juan Romero quella sera faceva lo straordinario, anche lui era nelle cucine quando il senatore salutava la folla per l'importante vittoria alle primarie. L'allora 17enne aiuto cameriere fu uno dei tanti testimoni dell'attentato a RFK; dopo che questi era stato colpito, gli sostenne la testa cercando di assisterlo in attesa dei soccorsi. Anche Bill Eppridge, fotografo di Life, era lì fra la folla. Così poté riprendere varie foto, fra cui alcune che faranno storia: 1, 2, 3. Un uomo nella folla passò un rosario a Romero che poi lo mise nella mano del senatore. Il procedimento penale contro Sirhan B. Sirhan registrò anomalie fin dall'inizio: il referto autoptico fu bloccato da problemi burocratici, i risultati del guanto alla paraffina su Sirhan scomparvero; la pistola usata per le prove balistiche fu distrutta, come i bossoli ritrovati sul luogo dell'attentato. La polizia di Los Angeles si giustificò che furono buttati via perché <<occupavano spazio inutilmente>>! Il 21 Agosto 1968 ben 2400 foto dell'indagini furono incenerite nel forno crematorio del Los Angeles County General Hospital perché ritenute "duplicati". Sirhan Sirhan, a cui fu riconosciuto un vizio di mente, venne condannato a morte il 21 Maggio 1969. Comunque già da un paio d'anni era in atto una sorta di moratoria; poi il 18 Febbraio 1972 la Corte Suprema della California [caso People v. Anderson] decise che la pena di morte violava l'ottavo emendamento; così tutte le 107 persone detenute nei ‘bracci della morte’ videro le loro pene capitali commutate in ergastolo. Comunque questi hanno il diritto di poter presentare ogni tot anni un'istanza per ottenere la libertà sulla parola da una speciale commissione. Juan Romero decise di lasciare il lavoro all'Hotel Ambassador; il clamore intorno a lui non gli permetteva di portare avanti il lavoro che aveva svolto nei precedenti due anni. Così a malincuore si trasferì nella vicina Santa Barbara. Nel 1969 testimoniò al processo contro Sirhan; nel 1974 lui e la sua ragazza decisero di sposarsi e andare a vivere a San Josè, sempre in California. Lawrence Teeter, avvocato di Sirhan, il 05.06.2003 presentò un'istanza alla Corte federale di Los Angeles per far "spostare" il caso a Fresno. Ovviamente la richiesta fu respinta. Sirhan Sirhan ogni cinque anni può fare domanda; l'ultima del 02.03.2011 (la quattordicesima) ha ovviamente avuto esito negativo. Intanto dal 29 Ottobre 2009 il condannato è rinchiuso nella PVSP [Pleasant Valley State Prison] a Coalinga, contea di Fresno. I lavori per demolire l'Hotel Ambassador iniziarono il 10 Settembre 2005 e terminarono il 16 Gennaio 2006; nel frattempo si tennero alcune riprese di Bobby, film che interseca l'assassinio di RFK con la storia di ventidue personaggi all'Ambassador il 05.06.1968. Nel quarantesimo anniversario dell'assassinio, 05.06.1968, Juan Romero è stato intervistato e fotografato presso il RFK Memorial nel parco cittadino di San Jose ¦fonte¦. Lì RFK aveva parlato ad una folla di oltre diecimila persone il 23.03.1968. Bill Eppridge è morto il 3 Ottobre 2013 in ospedale Danbury (Connecticut) per una setticemia conseguente ad una caduta avvenuta settimane prima; aveva 75 anni [leggi/vedi qui].
Il 18 Ottobre 1963 il 60° congresso del Cio votò l'assegnazione dei XIX Giochi olimpici estivi. Valutando dati e argomentazioni, Città del Messico ottenne 30 voti su 58, Detroit 14, Lione 12, Buenos Aires 2. Nel Giugno 1968 a Sacramento si tennero i trial d'atletica per l'Olimpiade di Città del Messico in programma fra il 12 e 17 Ottobre. Nei 200 metri piani conquistarono il passaporto per le Olimpiadi gli atleti di colore John Carlos e Tommy Smith, fra l'altro primatista mondiale con 20,0’’ dal 1966. Fra i 135 partecipanti — 111 uomini e 24 donne — per l'Australia c'era anche Peter Norman. Nella notte fra il 2 e 3 Ottobre migliaia di studenti e lavoratori si diedero appuntamento in piazza di Tlatelolco (ribattezzata piazza delle Tre culture). Nel pomeriggio avevano marciato per le vie della città per protestare contro l'occupazione del campus universitario da parte dell'esercito. Il presidente Gustavo Díaz Ordaz ordinò di disperdere folla con la forza e così ci fu il cosiddetto ‘massacro di Tlatelolco’. Avery Brundage, finanziere ultraconservatore e presidente del Cio, il giorno dopo dichiarò che aveva ricevuto dalle autorità <<l'assicurazione che niente impedirà l'entrata pacifica della fiamma olimpica nello stadio e lo svolgimento delle competizioni>>. Il 15 Ottobre si disputarono le sette batterie di qualificazione dei duecento metri piani. In ogni batteria da otto passavano i primi quattro e i migliori quattro tempi fra le altre batterie. Nella sua, l'australiano Peter Norman (personale di 20,5’’) batté il record olimpico in 20,2’’. Il giorno dopo si disputarono le due semifinali (otto per batteria); gli americani si distinsero tanto che corsero entrambi con 20,1’’. Fra i quattro qualificati dell'altra semifinale c'era anche Peter Norman. La finale dei 200 metri piani si disputò lo stesso giorno allo stadio Olimpico; da quell'edizione le piste d'atletica non erano più cosparse di cenere, ma ricoperte di tartan (materiale sintetico dalla caratteristica tonalità rossastra). Carlos partì benissimo tanto da essere in testa già dopo la curva; però Smith recuperò e lo sopravanzò ai 180 metri. Gli ultimi dieci metri li percorse a braccia alzate in segno di vittoria e fissò il cronometro sul nuovo record del mondo: 19,83’’. Intanto Carlos fu ripreso anche da Norman (che ai 100 metri era sesto), l'australiano così conquistò un insperato argento. Quindi sui gradini più bassi del podio si piazzarono Norman con 20,06’’ e bronzo Carlos con 20,10’’. Nei trial americani di fine Giugno gli atleti di colore decisero che chi sarebbe salito sul podio avrebbe espresso a suo modo solidarietà con il movimento del Black Power [Potere Nero]. Così Smith e Carlos si presentarono in tuta, ma senza scarpe: ai piedi avevano calzini neri per rappresentare la ‘povertà nera“. Entrambi avrebbero voluto indossare guanti neri di cuoio, ma ne avevano un solo paio comprato d'allora moglie di Smith che era venuta a trovarlo a Città del Messico. Fu Norman a suggerire ai due atleti statunitensi di indossare un guanto ciascuno: quello destro a Smith e sinistro a Carlos. Anche l'atleta australiano in segno di solidarietà indossò uno stemma dell'OPHR [Olympic Project for Human Rights, ‘‘Progetto Olimpico per i Diritti Umani’’]. Durante l'inno nazionale i due atleti di colore abbassarono lo sguardo sulle loro medaglie per non incrociare la vista della bandiera americana che veniva issata. Intanto tennero alzati — sempre in silenzio — il pugno alzato senza voltarsi. Nell'interviste successive fecero varie dichiarazioni; Smith disse: «Nella vita ci sono cose più grandi dei record e delle medaglie. Oggi è stato molto bello vincere per il mio popolo». John Carlos fu più esplicito: «Siamo stufi di essere cavalli da parata alle Olimpiadi e carne da cannone in Vietnam». Brundage li sospese con effetto immediato e dispose la loro espulsione dal villaggio. Ufficialmente furono incolpati di “vilipendio alla bandiera e ai Giochi olimpici”. Tornati in patria, i due atleti subirono ritorsioni e forme più o meno esplicite di ostracismo dal mondo dello sport; addirittura ricevettero anche minacce di morte. Dopo la tormentata edizione dei giochi di Monaco Avery Brundage si dimise dalla presidente del Cio, carica che ricopriva dal 1952. Morì a Garmisch-Partenkirchen in Germania l'8 Maggio 1975 all'età di 87 anni. Smith dal 1969 giocò per tre stagioni nella squadra di football del Cincinnati Bengals in AFL. Poi diventò vice-professore di educazione fisica all'Oberlin College in Ohio. Nel 1995 aiutò l'allenatore della squadra americana al Campionati mondiali Indoor di Barcellona. Nel 1999 gli fu assegnato il premio “Sportsman of the Millennium”; adesso è uno speaker pubblico. Anche Carlos si cimentò nel football americano per la squadra dei Philadelphia Eagles, ma poi un infortunio mise prematuramente fine alla sua carriera. Nel 1982 entrò a far parte del Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di Los Angeles. Dal 1985 è allenatore di atletica leggera n una scuola di Palm Springs in California. Norman fu rimproverato dal comitato olimpico australiano e subì l'ostracismo dei media. Nonostante si fosse qualificato nei trial nazionali per i 100 e 200 metri non fu scelto per l'Olimpiadi del 1972. Anzi la federazione australiana per la prima volta non presentò alcun sprinter in un'edizione estiva dei giochi! Dal 1978 l'ex olimpionico allenò una squadra under 19 di football australiano; dopotutto aveva giocato per 67 volte nel West Brunswick dal 1972 al 1977. La sua era una passione dato che di professione faceva l'insegnante presso il Department of Sport and Recreation di Coburg nello stato di Victoria. Norman continuava sempre a fare atletica; nel 1985 dopo lo strappo del tendine d'Achille contrasse una cancrena che per poco non gli costò l'amputazione della gamba. Negli anni seguenti accusò depressione e problemi con l'alcool, subì anche un'operazione chirurgica per un impianto di un triplo bypass. Mentre tagliava il giardino della sua casa di Melbourne, il 3 Ottobre 2006 Peter Norman ebbe un improvviso attacco cardiaco e morì ad appena 64 anni. Smith e Carlos parteciparono al suo funerale e portano a spalla la bara. Nell'Ottobre 2010 si è appreso che Tommy Smith metterà all'asta la medaglia d'oro dei 200 metri con una base d'asta di 250mila dollari. Gary J. Zimet, rappresentante di “Moments in Time”, ha messo all'asta anche le scarpe che indossava quella notte [vedi qui]. John Carlos contattato dai giornalisti ha dichiarato che <<il mio bronzo non lo vendo>>. I guanti di cuoio nero sono ormai introvabili poichè <<li ho persi in uno dei tanti traslochi>> (come dichiarato da Smith in una recente intervista).
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